mercoledì 31 agosto 2011

Lo stile early geometrical (S 1)


Lo stile early geometrical
(Garrison, Studies III, pp. 121-122)

2. Gruppo II. Il tardo XI secolo o l’inizio del XII.
Tra i primi manoscritti da aggiungere venuti alla luce c’è un Antico Testamento non illustrato nella Collezione Magliabechi nella Biblioteca Nazionale di Firenze, Magl. Cl. XL. 1. Un certo numero di indicazioni in esso oscilla tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII. La scrittura di diverse mani è del tipo carolino della decadenza della fine dell’XI secolo. Il minio sta a metà tra l’arancio chiaro consueto in quel periodo e il rosso mattone del primo quarto del secolo seguente. Le iniziali geometriche utilizzate all’inizio di molti dei libri sono grandi e rosse, più vicine a questo riguardo a quelle geometriche della Bibbia Palatina e di Monaco, la prima datata 1080-1090, la seconda circa al 1100. Come lì, la foglia a ventaglio delle Bibbie di S. Daniele e di Ginevra ha lasciato posto all’intreccio come riempimento delle barre più favorito. La F del Prologo e la I della Genesi, nelle loro proporzioni, nei pattern degli scomparti e nei dettagli degli intrecci alla sommità e dei motivi base, sono ancora simili alle lettere corrispondenti della Bibbia Palatina. Ma dove queste mantengono il riempimento a foglia a ventaglio delle Bibbie anteriori, la F e la I, come le rimanenti nuove Bibbie, si evolvono nell’intreccio. Rimangono, riguardo il riempimento delle barre, tra la Bibbia Palatina e la Bibbia di Genova, precedentemente datata all’inizio del primo quarto del XII secolo, ora un po’ più avanti. L’aggiunta del diamante all’incrocio nella F indica oltre il primo quarto del secolo. La mancanza di ingrandimento nelle piccole capitali a lato della F e della I è un indizio di anteriorità. Infine, c’è un certo numero di iniziali full shaft larghe e rozze, con barre a filetti blu o blu e rosso e fogliame negli interstizi ottonizzante, qui proposti come indizi del primo quarto del XII secolo. In ogni caso, una datazione all’incirca al 1100, e molto probabilmente alcuni anni dopo piuttosto che prima, e una attribuzione alla regione umbro-romana sembrano più ragionevoli.
Altre due Bibbie atlantiche, una alla Biblioteca Laurenziana di Firenze, Mugel. 1 e l’altra nella Biblioteca Angelica di Roma, cod. 1272 (ex. T.I.9), mostrano forti relazioni l’una con l’altra. E entrambe sono in relazione con un’altra Bibbia, Fesul. 4 della Laurenziana, già trattata in questi Studi, attribuita alla Toscana e datata pochi anni dopo il 1100. Sembra probabile che tutte e tre le Bibbie siano state prodotte nello stesso periodo e nella stessa regione.
La Bibbia Mugellano, nella sua pagina incipitaria non incorniciata e con il suo minio arancio chiaro, e nei dettagli della F del Prologo e della I della Genesi, condivide le caratteristiche del gruppo più antico di S. Daniele, Genova e della Bibbia Palatina. Ma le iniziali, come ovviamente quelle della Bibbia di Fiesole, si rivelano, più che imitative, derivative dallo stile umbro-romano. Significativo è il modo in cui viene usato il riempimento a foglia a ventaglio in due grandi iniziali, che differisce dal suo uso nelle iniziali umbro-romane nel fatto che una foglia a ventaglio intera si trova al centro della colonna. Significative sono anche la forma speciale e la povertà delle terminazioni superiori  ad intreccio, l’omissione di uno sfondo dagli intrecci della I, la limitazione e la dislocazione della I, che non occupa un’intera colonna a sinistra del foglio ma solo tre quarti di colonna a destra, e l’uso di disegni inconsueti e di riempimenti delle barre. Molta fantasia è stata impiegata per allontanarsi dai modelli: la F del f. 108 è aberrante solo in grado moderato (omette gli intrecci terminali), ma la L del f. 50 e la P del f. 84 sono da annoverare come eccezionali, talmente eccentriche sono le loro strutture, le terminazioni delle loro barre, e i riempimenti. Con un cambio di miniatore al f. 198, tutte le somiglianze con lo stile early geometrical sono perdute in un tumulto di sperimentazioni originali.
Tutte queste sono buone ragioni per ritenere che la Bibbia sia stata prodotta al di fuori della regione umbro-romana. Le iniziali mostrano sufficiente affinità con quelle della Bibbia di Fiesole da garantire che sia Toscana. Il limite della I della Genesi e la disposizione del testo a fianco sono in effetti modalità che si trovano solo nelle Bibbie fiorentine, come quella di S. Maria del Fiore alla Laurenziana, Edili 125/126, e un’altra, Edili 124; ma sarebbe azzardato attribuire la Bibbia a Firenze sulla base di questi soli indizi.
La scrittura è anche meno assegnabile ad una regione precisa. Appartiene al tipo della carolina irregolare della fine dell’XI secolo, con gran parte dei segni della decadenza, incluse le m e le n ad uncino, che hanno caratterizzato non solo la scrittura toscana ma anche quella umbro-romana del periodo. Allo stesso tempo si devono distinguere in alcune mani una certa rotondità nella forma delle lettere e una certa regolarità che deve essere ritenuta un miglioramneto del primo quarto del XII secolo.
Deve quindi per il momento essere datata in questo periodo, contemporanea alla Bibbia di Fiesole.    
La Bibbia dell’Angelica, o prima Bibbia dell’Angelica - ne dobbiamo poi analizzare altre due - è composta di due parti. La parte che qui interessa è un Antico Testamento, ff. 1-204v, dalla Genesi a Daniele, con omissione dei Salmi, dei Profeti minori, dei Maccabei e di Esdra. Il Nuovo Testamento, dal f. 205 alla fine, a giudicare dalla iniziali e, in misura minore dalla scrittura, è una parte più tarda di una regione non contemplata in questo studio; potrebbe essere del sud Italia e del terzo quarto del XII secolo. Poiché le parti perdute della Genesi, compresi l’inizio della Genesi e la fine di Daniele, sono state completate da simili mani italomeridionali, è probabile che queste parti abbiano lasciato il loro luogo d’origine molto presto.
Le iniziali dell’Antico Testamento sono fortemente simili a quelle del manoscritto precedente; sono chiaramente della stessa famiglia e dello stesso periodo. Si noti la stessa I della Genesi limitata, posizionata nella colonna di destra anziché di sinistra, la stessa struttura di piccole capitali e del testo a lato. Si noti la forma analoga dell’intreccio alla terminazione superiore, l’uso simile di foglie e ventaglio piene nella barra. Si noti, inoltre, l’omissione dello sfondo dalle terminazioni della F al f. 98v come nella F del Prologo dell’altra Bibbia, e il motivo a diamante nello scompartimento mediano di questa F, e nella H del f. 21, inconsueto come riempimento della barra ma non completamente diverso dal riempimento a diamante nella L del f. 50 dell’altra Bibbia.
La scrittura è in gran parte più irregolare della scrittura dell’altra Bibbia. Indica la fine dell’XI secolo piuttosto che l’inizio del XII. In effetti potrebbe essere un poco anteriore all’altra. Tuttavia, per le somiglianze tra le iniziali delle due Bibbie, parrebbe poco saggio dare troppo credito a questa indicazione.
Non c’è dubbio che l’Antico Testamento della prima Bibbia dell’Angelica sia stato prodotto allo stesso periodo della precedente Bibbia Mugellano, e le stesse ragioni addotte per ritenerlo la fanno ritenere toscana.
Appartiene a questo primo gruppo il Commento di s. Agostino ai Salmi, un tempo alla Biblioteca di Camaldoli, ora in Laurenziana come Conv. Soppr. 344. Tutte le scritture sono di un tipo piccolo, dell’XI secolo, alcune di esse abbastaza irregolari. Alcune di esse richiamano distintamente le scritture dell’XI secolo di S. Cecilia a Roma. Ma alcune hanno una particolare sottigliezza che le relaziona alla prima scrittura di Pistoia. Le iniziali sono notevoli, come lo sono di molti manoscritti pistoiesi, per la loro differenza stilistica, alcune sono a barra piena di uno speciale disegno ottonizzante, altre, sebbene geometriche, sono disegnate solo in rosso o in rosso e nero. Una lettera come la B del Beatus, qui riprodotta, è così tipica della prima fase dello stile early geometrical che probabilmente serve a datare il manoscritto alla fine dell’XI secolo. Il codice è certamente dell’Italia centrale, molto probabilmente toscano, e forse pistoiese. Ma finché uno studio ulteriore non isolerà gli stili di Camaldoli e di Vallombrosa e non li distinguerà dagli stili di Firenze, di Pistoia e Arezzo, non sembra possibile una attribuzione più accurata.

giovedì 11 agosto 2011

Supplementi (1)


Supplemento
(Garrison III, pp. 119-121)

L'inizio di questo Supplemento può essere una buona opportunità per fermarsi, guardare indietro il cammino percorso nello studio dello stile delle iniziali dell'Italia centrale, e giudicare alla luce dell'esperienza accumulata la correttezza dei metodi utilizzati e la distanza coperta attraverso una corretta ricostruzione. I manoscritti italiani del periodo non sono stati precedentemente studiati approfonditamente. Il campo era per ogni intento e proposito assolutamente nuovo. Nessun precedente scritto li aveva affrontati nella loro vastità e nella grande quantità di materiale da coprire. La quantità di materiale nuovo ha risolto alcuni problemi che prima sembravano insormontabili, ma allo stesso tempo ha fatto nascere altre ipotesi insospettate, e ha comportato un cambiamento nell'atteggiamento verso l'intera materia dello studio dei manoscritti italiani. Tre problemi di metodo che richiedono una soluzione sono stati sviluppati.
Primo, mentre lo studio dei manoscritti è stato qui preso principalmente come strumento ausiliario per una storia più completa e accurata della pittura, la grande massa dei manoscritti ha reso chiaro che, anche se lo scopo finale rimane lo stesso, i manoscritti devono, prima di raggiungerlo, essere studiati indipendentemente, profondamente, completamente, come oggetti di interesse in sé. Se va perseguita una grande precisione nell'attribuzione e nella datazione, e una visione più corretta dell'evoluzione, si deve creare una codicologia italiana, e i suoi metodi vanno fissati. Ma la codicologia implica lo studio di molti campi altamente specializzati - la storia degli ordini religiosi e dei singoli monasteri, della paleografia, dell'agiologia, della liturgia, etc. - che non sono di diretto interesse allo storico dell'arte. E deve considerare molti manoscritti che sono più poveramente decorati, come anche manoscritti totalmente non decorati che non hanno alcun posto nella storia dell'arte. Parimenti è divenuto chiaro che ciò implica diversi problemi, che pochi storici dell'arte hanno il tempo o la competenza per risolvere. La codicologia, con i suoi annessi, necessita di uno studio separato. Finché si limita ad assolvere ai suoi compiti principali e a presentare risultati parziali, la storia dell'arte rimane lontana dal suo scopo ultimo di una corretta storia totale.
Secondo, mentre è stato detto all'inizio di questo studio che le iniziali sembrano costituire un indice di datazione piuttosto che di luogo di produzione, è diventato chiaro che mentre questo è vero in generale, le iniziali devono diventare anche indicatori di luogo, e la datazione non può essere separata dall'attribuzione. Così, mentre al primo stadio della ricerca i manoscritti erano in effetti raggruppati principalmente secondo la datazione, e l'attribuzione era relegata a dato sussidiario, negli ultimi stadi è stato dato più o meno lo stesso peso alla datazione e alla localizzazione. In una codicologia totale, in cui tutte le caratteristiche indicative nei manoscritti vanno correlate, ulteriori e maggiori progressi possono certamente essere raggiunti in questa direzione.
Terzo, mentre il metodo usato in questi studi di raggruppare i manoscritti per regioni politico-ecclesiastiche, riprese principalmente dalla storia dell'arte ortodossa, è perfettamente adeguato alla storia della pittura monumentale, degli affreschi e dei pannelli, è chiaro che è inadeguato per lo studio dei manoscritti, che deve essere completato da altro. Poiché le scuole maggiori di pittura monumentale in effetti sono cresciute e hanno irradiato la loro influenza dai maggiori centri politico eccelsiastici, molte importanti scuole di miniatura dei manoscritti si sono sviluppate in monasteri isolati, come Farfa, Subiaco, Montecassino, Vallombrosa e Camaldoli, e hanno da lì irradiato la loro influenza. Così è chiaro che sotto queste circostanze allo studio di singoli scriptoria deve essere accordata più importanza di quella che gli è stata data. Solo dopo che i manoscritti sono stati raggruppati per scriptoria sarà possibile determinare quanto il loro stile si accorda agli standard delle suddivisioni politico-ecclesiastiche. La questione è senza dubbio importante perché dal momento che lo stile dei manoscritti ha largamente influenzato lo stile monumentale, le nostre idee sulla sua creazione e l'irradiazione possono avere ripercussioni sulle nostre idee circa l'intera struttura della storia dell'arte monumentale.
Ciò non vuol dire che il metodo usato in questo studio è erroneo. Si è rivelato perfettamente appropriato per le importanti scuole che in effetti sorsero in centri come Lucca, Pistoia, Volterra, etc., anche se studi ulteriori potrebbero un giorno differenziare i prodotti di ciascuno scriptorium. Il metodo era in ogni caso, al tempo in cui questo studio è stato intrapreso, il più efficace, in realtà, il solo possibile; è certo che se si fosse effettuata una suddivisione dei manoscritti per scriptoria, i progressi avrebbero ritardato molto. Perché è solo nel corso dello studio che la sopravvivenza e la disponibilità di un buon numero di nuclei di biblioteche e la conseguente possibilità di individuare i prodotti dei vari scriptoria è divenuta tangibile. Per la regione umbro-romana, la Biblioteca di Subiaco, il fondo Farfense della Biblioteca Nazionale di Roma, di S. Eutizio in Val Castoriana alla Vallicelliana, e quello di S. Croce in Fonte Avellana alla Vaticana devono essere ricordati, e per la Toscana, specialmente i fondi Vallombrosano e Camaldolese nella Laurenziana. Anche se alcuni di questi hanno ricevuto una certa attenzione nel passato, nessuno è stato trattato profondamente. E ce ne sono ancora altri. Questi fondi possono formare eventualmente il punto di partenza per lo studio.  I manoscritti che non sono di fattura locale devono essere estromessi. Si deve formare il concetto di stili propri degli scriptoria. Quindi i manoscritti dispersi possono essere riconosciuti e raggruppati con altri.
Un problema più specifico, meno teoretico, che dimostra la stretta connessione tra datazione e attribuzione, è già stato espresso in questi studi, ma necessita di ulteriori considerazioni, e ha a che fare con la data e il luogo di origine dello stile late geometrical.
Per la regione umbro romana, è stato qui possibile stabilire una successione abbastanza chiara di stili, dall'early geometrical, dominante dal 1075 al primo quarto del XII secolo, a uno stile di transizione, che emerge all'inizio del secondo quarto, al middle geometrical che presto lo sostituì, fino al late geometrical, che ha dominato da circa la metà del secolo in avanti. I codici che mostrano più di due stili successivi non sono stati contati, e i pochi che mostrano due stili possono ragionevolmente essere considerati transizione da uno stile all'altro. In più, si è scoperta una concordanza tra l'evoluzione delle iniziali e l'evoluzione della scrittura, che ha rafforzato l’ipotesi della data limite.
Ma quando i manoscrotti toscani sono stati studiati, le complicazioni sono aumentate. Un gruppo, largamente fiorentino, mostrava elementi di tre stili successivi combinati, early, di transizione e late - il middle geometrical, si ricorderà, sembra non essere penetrato a Firenze anche se suoi elementi si osservano in certi manoscritti che potrebbero essere aretini. Questi manoscritti toscani sono molto difficili da assegnare non solo per correlarli alle date limite stabilite per la regione umbro romana, ma anche per ordinarli in una sequenza soddisfacente. I cambiamenti nella scrittura non sembrano concordare così bene come accade un po' più a sud.
Il nocciolo del problema risiede nell'incertezza che sta attorno al problema dell'origine dello stile late geometrical. Se gli elementi late geometrical sono arrivati in Toscana dalla regione umbro-romana, allora questi manoscritti a stile misto si dovrebbero assegnare al terzo quarto del secolo. Anche lasciando qualche margine di incertezza, non possono essere assegnati molto prima della metà del secolo. Ma le prove sono lontane dall'essere decisive, come dallo stabilire se i motivi late geometrical siano nato a Roma. Sembra ugualmente possibile che siano stati inventati in Toscana. Se fosse, potrebbero essere stati inventato molto prima, e potrebbero, finché prove certe della datazione della loro invenzione non vengono alla luce, non fornire criteri solidi per datare i manoscritti misti.
Il principale ostacolo ad una soluzione ragionevole del problema sta nel fatto che gli esempi datati dei primi stili sono umbro-romani, mentre gli esempi datati dell'ultimo stile sono toscani. Tuttavia, sulla base di una collazione degli elementi della scrittura con quelli delle iniziali, un espediente anche se un modo fattizio di datare i manoscritti è stato operato per l'Italia centrale, supponendo che lo stile late geometrical possa aver avuto origine sia nella regione umbro romana sia in Toscana tra il 1146 della Bibbia di Fonte Avellana, umbro romana (Roma, Bibl. Vaticana Vat. lat. 4216), che non mostra alcun indizio, e il 1168/69 della pisana Bibbia di Calci, in cui lo stile è completamente sviluppato. Perciò è più ragionevole porre il suo inizio tra il 1145 e il 1160. Nessuno dei manoscritti che mostrano elementi late geometrical sono considerati prodotti prima del 1145. Il primo di questi è datato infatti attorno alla metà del secolo, equivalente alla decade 1145-1155.
Quindi viene scoperta la fiorentina Bibbia di Corbolino, datata 1140, in cui gli elementi late geometrical sono considerevoli. Se non avessimo presente questa data 1140, se ci affidassimo solamente alla modalità di datazione sopra descritta, le sue grandi iniziali potrebbero averci indotto a datarla attorno alla metà del secolo. Ma le sue piccole iniziali, completamente late geometrical,   ci avrebbero spinto ad una datazione ancora più tarda, cioè alla metà del secolo o un po' più tardi, il che corrisponde alla decade 1145-1155. La data 1140 corrisponde tuttavia alla decade di datazione 1135-1145, che è un po' di più che dieci anni prima. Allo stesso tempo, la scala di valori è stata rapportata in favore di un'origine toscana e più specificatamente fiorentina dello stile late geometrical. Il terminus post quem per l'invenzione dello stile che è stato convenzionalmente adottato, il 1146 della Bibbia di Fonte Avellana, è stato così invalidato, perché si è dimostrato irrilevante per la Toscana. Un nuovo terminus post quem, un manoscritto toscano datato dal quale lo stile è assente, deve ancora essere trovato. Lo stile potrebbe, per quello che sappiamo oggi, essere stato creato in Toscana ancora prima della data della Bibbia di Corbolino, fino a quando non verranno alla luce nuove prove.
Ma anche in questo caso, il problema di ridatare i manoscritti non è facile; non possono essere semplicemente spostati indietro di 10 anni. La quantità di elementi late geometrical nelle grandi iniziali della nuova Bibbia, secondo mr. Berg, che ha scoperto la Bibbia e l'ha pubblicata in questi Studies, è definitivamente più scarsa - utilizzando il criterio I - di tutti gli altri manoscritti fiorentini in questione, e questo costituisce un indizio per ritenere che gli altri siano un po' più tardi. Tuttavia, la proprietà di utilizzare questo criterio di dosaggio di elementi late geometrical come base per la datazione è discutibile, lo si deve ammettere. C'è in aggiunta la difficoltà di misurare il dosaggio e di pervenire ad un accordo su di essi. Né appellarsi alla scrittura può essere d'aiuto, perché anch’essa comporta difficoltà: lo stadio di evoluzione di ogni scrittura data è anch'esso difficile da valutare e da condividere.
Ogni codice non datato è, in breve, estremamente difficile da porre in relazione cronologica con quelli datati, anche se sono così somiglianti da sembrare contemporanei. Tuttavia, a dispetto delle difficoltà e dei significati ambigui a nostra disposizione, sembra che importanti manoscritti come la Bibbia fiorentina di S. Francesco in Mugellano (Firenze, Laurenziana, Mugel. 2), e anche il S. Gregorio volterrano (Volterra, Guarnacciana, LXI.8.6), debbano con alcuni altri essere assegnati  a diversi anni prima di quanto non abbia suggerito precedentemente. La scoperta della Bibbia di Corbolino ha ulterioremente influenzato la datazione proposta per molti altri codici che saranno trattati nei Supplementi.

sabato 16 luglio 2011

Soppravvivenze del XIII secolo (1c)

(Garrison, Studies III, p. 71)

Il terzo manoscritto è un frammento di Bibbia atlantica, cod. 1 della Biblioteca Capitolare di Lucca, vergato a Lucca nel 1248-50 da un copista bolognese e miniato e illustrato nel 1250 da Marco di Berlinghiero, di cui ho già parlato. Le iniziali di questa Bibbia tradiscono una consapevole imitazione di modelli più antichi: mostrano una normale struttura late geometrical, riempimenti delle barre che sebbene distintivi sono ovviamente derivati dai riempimenti delle barre late geometrical, e fogliame degli interstizi che anche se più naturalistico e maturo, in particolare nell’applicazione dei colori, è ovviamente derivato dal fogliame late geometrical. Allo stesso tempo questo fogliame presenta le forme di foglie e fiori di carattere fortemente gallicizzante che è stato tipico di Lucca nella prima metà del XII secolo. I modelli sono molto probabilmente le iniziali lucchesi di codici più antichi, che erano certamente presenti in città in numero abbastanza grande da aver attratto l’attenzione del miniatore formatosi localmente. Quando si verifica che il padre di Marco, Berlinghiero, costruisce il proprio stile di pittura figurativa largamente sulle miniature locali, il vigore e la conseguente importanza nel legame locale di sviluppo inizia ad emergere.
Nella mutua relazione tra questi tre manoscritti potrebbe risiedere la definizione di un movimento più o meno significativo nel XIII secolo, legato a Camaldoli e a Marco di Berlinghiero. La Concordantia viene da Camaldoli e probabilmente è stata prodotta là, anche se non è certo; il Sacramentario è stato prodotto quasi certamente a Camaldoli e miniato e illustrato da Marco circa nel 1240; la Bibbia è stata certamente miniata e illustrata da Marco a Lucca circa dieci anni dopo. La situazione potrebbe dare adito a interpretazioni come queste: uno spirito conservativo a Camaldoli potrebbe aver reso gradevole a Marco lo stile precedente, basato sui modelli lucchesi del XII secolo, e questo implica il suo impiego a Camaldoli; oppure il suo impiego a Camaldoli, dove prevaleva uno spirito conservativo, lo ha indotto a cercare i modelli antichi per soddisfarlo. Ma in realtà i tempi non sono maturi per una tale elucubrazione.  

Soppravvivenze del XIII secolo (1b)

(Garrison, Studies III, pp. 68-71)

Il secondo manoscritto è un Sacramentario del British Museum, Egerton 3036, che si trovava un tempo nella Biblioteca di Camaldoli ed è stato probabilmente prodotto, secondo una annotazione quasi certamente autentica, nel monastero di Fontebuono a Camaldoli, detto l’Ospizio, nel 1240.
Al f. 416v, e fino al 417, è la seguente annotazione.
In nomine domini amen. Anno ab incarnatione MCCXL ... ego domnus Consilius monachus ... a domino Iacopo ... ordinis eiusdem poenitentiario accepiliteras deputatus ad quosdam abbates destinatus, quorum memoria dicetur inferius, quatenus intuitu misericordia, et vinculo suae ducti dilectionis de bonis sibi a deo collatis ad hunc librum faciendum aliquid ex caritate dignarentur largiri. Quapropter ego iamdictus Consilius cupiens obedire, praesertim cum obedientia meliorquam victima reputetur, ad hoc opus institutum faciendum, conscientia teste apud dominum, pure operam dedi, nimio desudando labore, ut ad perfectionem perduceretur, atque personas elemosynas largientium eorumque dona praesenti libello scrivere curati, ut tam praesentes quam futuri congregationis Camaldulensis iamdictos donatores suis reddant contigerit, deum queant recipere placatum. Isti vero sunt, quorum auxilio, et hortatu liber iste factus est. In primis abbas de Vulterris XL florenos, domnus Iacobus qui tunc erat abbas de Cerreto ... abbas Urbanus sancti Savini ... prior sancti Frigdiani ... abbas sancti Michaelis ... abbas sancti Zenonis ... dominus dignus hospitalarius sancti Frigdiani ... domnus hospitalarium Henrigus eiusdem loci ... domnus Bene qui tunc erat abbas de Cantignano ... abbas de Putheul ... abbas de Cintorio ... et totum sericum et corrigias aureas, fibulas, et manutergium similiter, cum quo est coopertus. Item domnus Consilius libras XIV, sine proficuo dictorum, et sine expensis suis eundo, et redeundo, et sine ligatura praedicti libri. Item pro cambio dictorum florenos VI. Item de exitu ad memoriam retinendam scriptum facio. In primis dedi in chartulis libras XIV. item pro scriptura libras XVII. item Marco pictori libras XVI. Pax bona sit iustis iniustis recta voluntas. Ego frater Consilius, que mere operam dedi hoc opus incipiendo, et perficiendo, dominum contestor, ut aliquis male attentando afferens, quod plura receperunt, quam in praesenti recitentur scriptura, mecum contendat in iudicio ante tribunal Christi.
Lo spazio dopo il nome di Consilius monachus e di Iacopo all’inizio rappresenta un’attuale rasura. Ma il testo è stato evidentemente letto da Mittarelli e Costadoni prima delle rasure, perché dopo il primo hanno messo Fontis boni e dopo il secondo eremita, e hanno spiegato che Consilius era un monaco arrivato a Fontebuono da S. Savino di Pisa.
Sfortunatamente, il foglio in cui inizia questa nota è parte di un fascicolo separato, aggiunto certamente dopo che il codice fu copiato. Anche se la nota è del XIII secolo, è in una scrittura notarile, completamente differente nel tipo dalla scrittura libraria del Sacramentario. Non si tratta tuttavia di un colophon, e non può essere senza dubbio accettato come riferito al Sacramentario. Si può pensare che sia una nota del copista di un altro libro, qui copiata per ragioni sconosciute.
Tuttavia, altre prove rendono probabile che si tratti dell’annotazione di copiatura del Sacramentario.
Gran parte dei contribuenti menzionati nella nota sono quasi certamente volterrani, pisani e lucchesi - solo due potrebbero essere aretini. Il primo è certamente volterrano. Il secondo, l’abate di Cerreto, deve aver governato il monastero di S. Pietro di Cerreto Guidi nella diocesi di Volterra, perché questo era il solo insediamento camaldolese della regione che può essere stato chiamato così. Il terzo, il quinto e il sesto e l’ultimo devono aver governato importanti monasteri camaldolesi nel territorio pisano. S. Savino può probabilmente identificarsi con S. Savino di Montione, o Cerasola, vicino a Calci, perché era il monastero camaldolese più importante nella regione dedicato a questo santo. Non solo S. Savino di Chio, vicino ad Arezzo, era meno importante, ma uno speciale legame con il monastero pisano e una particolare rilevanza di questo sono attestati dal fatto che questo monaco Consilius, che supervisiona la composizione del libro, veniva da lì. S. Michele può probabilmente essere identificato con S. Michele in Borgo a Pisa; S. Michele di Arezzo sembra in questo contesto meno probabile, ed era per di più meno importante. S. Zeno può identificarsi con il monastero camaldolese di S. Zeno di Pisa, mentre Cintorio deve essere stato il monastero di S. Stefano in Cintorio, vicino a Verruca, nella diocesi di Pisa. I monasteri di S. Salvatore e S. Bartolomeo di Cantignano e di S. Pietro di Pozzeveri (Putheolis), entrambi camaldolesi, erano d’altra parte tra gli insediamenti lucchesi più importanti, il primo ai piedi dei monti Pisani nella parte lucchese, il secondo un po’ più lontano ad est di Lucca. Il priorato di S. Frediano è più probabilmente stato il capostipite del monastero di S. Frediano a Pisa, che era camaldolese. I due ospitalieri, Dignus e Henricus, sono probabilmente di Pisa.
L’origine lucchese dei due contribuenti, assieme alla data 1240, suggerisce che il Marcus pictor menzionato nella nota potrebbe essere il miniatore e pittore lucchese Marco di Berlinghiero. Questo sarebbe possibile che se la fattura del libro fosse stata allestita a Camaldoli, e anche se il libro fosse stato prodotto là. Ciò che è estremamente importante è il fatto che in molte delle loro caratteristiche le iniziali nel Sacramentario sono simili alle iniziali della Bibbia di Marco a Lucca. Gli indizi contribuiscono non solo ad identificare il miniatore ma anche a confermare che il libro registrato è certamente il Sacramentario.
Probabile è anche che la nota non sia originale ma una copia, che l’originale fosse un vero colphon su un foglio successivamente rimosso perché danneggiato, in vista dell’inserimento di altro materiale come è stato in effetti fatto per qualche ragione, che fosse stato copiato poi alla fine del codice ricostituito per preservarne memoria. Che sia stato vergato nel XIII secolo è provato dalla scrittura della nota.
Sul luogo per il quale il Sacramentario è stato prodotto, e una conferma approssimativa della data, si può ottenere dal programma delle messe, e una chiave sulla sua storia seguente può essere ricavata dal Calendario aggiunto alla fine.
Che il Sacramentario sia stato prodotto per l’uso del monastero di Fontebuono è provato dalla sua agiologia. Va ricordato che il programma delle celebrazioni è molto simile, anche se non identico, a quello del Messale di Camaldoli, Firenze, Laurenziana Conv. Soppr. 292. La normale agiologia camaldolese, rivelata da questi due codici, condivide molto della agiologia aretina, essendo il monastero situato nella diocesi di Arezzo, come anche quella fiorentina. Alcune delle differenze tra i due possono quasi certamente attribuirsi ai tre quarti di secolo che li separano. Ma dal momento che la produzione del Sacramentario sembra essere stata molto più cooperativa del solito, alcune differenze possono meglio essere spiegate supponendo che certi santi siano stati inclusi, inconsuetamente, in ossequio ai contributori lucchesi, pisani e volterrani, anche se questo si può determinare più precisamente solo dopo uno studio più completo dell’agiologia camaldolese.
Che il Sacramentario sia stato prodotto per l’uso toscano è certo, perché contiene tre dei quattro santi toscani: s. Regolo, s. Cerbone e s. Miniato (s. Torpete è omesso). Molte messe indicano più specificatamente una destinazione camaldolese, prime tra tutte le messe per i ss. Donato e Ilariano il 7 agosto, che è decorata con l’iniziale più grande e più elaborata di tutto il libro, perché erano i patroni di Fontebuono. Allo stesso tempo erano aretini e venerati in Arezzo: la dedicazione a loro del monastero deve essere stata influenzata da questo. Anche s. Romolo il 6 luglio potrebbe in questo contesto essere considerato parte dell’ambiente camaldolese, piuttosto che una indicazione firoentina come è di solito, perché compare anche nel Messale di Camaldoli. S. Romualdo, abbastanza stranamente, è omesso nel codice originario. Ma una messa per questo santo è stata aggiunta nel XIV secolo nel margine vicino al 19 giugno. Un’altra aggiunta del XIV secolo, quella delle messe per le ss. Flora e Lucilla, titolari di importanti monasteri ad Arezzo, suggerisce che il Sacramentario fosse al tempo nella regione camaldolese.
L’inclusione dei ss. Efiso e Potito il 13 novembre è quasi certamente in ossequio ai contributori pisani: normalmente non si trovano in codici non pisani. S. Savino il 7 dicembre deve essere stato incluso in omaggio ai contributori dal monastero dedicato al santo a Pisa (camaldolese dal 1104), ma dal momento che compare anche nel Messale di Camaldoli, e dal momento che c’era un monastero dedicato a lui ad Arezzo, la questione non è certa: potrebbe far parte dell’ambiente camaldolese. L’inclusione dei ss. Giusto e Clemente il 5 giugno è solo un po’ più certamente in omaggio ai contributori volterrani, perché non si trovano nel Messale (importante monastero vicino a Volterra, camaldolese dal 1113).
Anche se non sono inclusi santi la cui venerazione è confinata a Lucca, tuttavia molte celebrazioni dell’ambiente lucchese sono presenti: s. Biagio, ss. Alessandro Evenzio e Teodulo, s. Pantaleone, ss. Donato e Ilariano, s. Ponziano e compagni, s. Martino, s. Frediano, s. Prospero. Molti di questi santi ricorrono nel Messale, ma non s. Ponziano il 5 agosto, e non compare in altri codici fiorentini, quindi deve essere stato incluso sotto l’influenza dei contributori lucchesi.
Infine si può dedurre dal Sacramentario una qualche conferma della datazione, perché include la messa per s. Frediano il 4 ottobre, indicazione che è stato probabilmente prodotto dopo il 1228, l’anno della canonizzazione.
 Il Calendario fornisce informazioni ulteriori. A giudicare dalla scrittura, è di qualche anno posteriore al Sacramentario, e la composizione del libro ci assicura che si tratta di una aggiunta. Tuttavia, molto probabilmente è stato prodotto prima del 1259, perché ha aggiunto nei margini sotto il 6 settembre obit domni Martini venerabilis prioris camald., che è certamente Martino III, priore generale dell’ordine dal 1248 al 1259. Nelle indicazioni principali coincide con il Sacramentario, ma mostra un forte accenno lucchese. In aggiunta alle indicazioni lucchesi già menzionate, include il nome di s. Cassio il 13 ottobre, un santo che in  Toscana è venerato solo a Lucca. Inoltre i nomi dei ss. Alessandro, Evenzio e Teodulo, particolarmente importanti a Lucca, sono rubricati, cosa che non sarebbe accaduta in altri centri della Toscana. Infine c’è una nota obituaria il 23 maggio di una Alberia domina comitissa uxor comitis Tegrimi, molto probabilmente della ben conosciuta famiglia Tegrimi di Lucca. Sembra quindi che il Calendario sia lucchese.
Naturalmente è possibile che il Calendario, anche se prodotto prima del 1259, non sia stato aggiunto al Sacramentario che successivamente, preso da qualche altro libro. Ma in questo caso sembra più ragionevole ritenere che sia stato prodotto per il Sacramentario e che sia stato aggiunto tra il 1240 e il 1259.
Pare difficile mettere insieme tutte le indicazioni in un discorso storico unitario. Va notato che Consilius non dice mai che il Sacramentario è stato prodotto a Camaldoli. Tuttavia le indicazioni che lo sia sono molto forti. Oltretutto, il forte accenno aretino e camaldolese nell’agiologia e l’assenza di ogni positiva indicazione del contrario, fa ritenere che lo fosse. Inoltre si trovava quasi certamente a Camaldoli nel XIV secolo quando furono aggiunte le messe per s. Romualdo e per le ss. Flora e Lucilla. Fu visto inoltre nella Biblioteca di Camaldoli nel XVIII secolo da Mittarelli e Costadoni. Nessuno di questi fatti preclude l’impiego di un illustratore lucchese, come non precludono la possibilità che il libro fosse stato portato a Lucca e che sia rimasto là per un certo periodo dopo la produzione - questo vale per il Calendario, che potrebbe essere stato aggiunto là. Successivamente potrebbe essere stato riportato a Camaldoli, cosa che sembra abbastanza plausibile, in vista dei continui spostamenti da un monastero all’altro, e lo stesso Consilio viene da S. Savino a Pisa.
A prima vista, la scrittura sembra porre il Sacramentario molto prima del 1240. Sembra infatti molto in ritardo già nell’ultimo quarto del XII secolo, e anche l’ipotesi di un copista molto vecchio non sembra capace di spiegare questa scrittura molto oltre il volgere del secolo. L’inclusione di una messa per s. Francesco è la prova che sia stato prodotto dopo il 1228, e conferma la veridicità della nota e la plausibilità della datazione. La scrittura deve dunque essere considerata una sopravvivenza molto tarda - forse un revival - di un tipo precedente, forse peculiare del monastero o di un singolo copista.
Le iniziali geometriche sono limitate alla prima e all’ultima parte del libro: il Comune e le messe speciali tra di essi (ff. 282-334), sono decorati solo con iniziali calligrafiche rosse. Le iniziali geometriche, come è stato detto, sono molto simili a quelle della Bibbia di Marco, sia nella struttura generale che nei diversi dettagli. Un tipo speciale di intreccio terminale come nella I del Sacramentario è molto simile a quelli della Bibbia. Gli sfondi, con le linee bianche e i puntini bianchi, e con i giglietti a penna agli angoli, sono identici. Il principale riempimento delle iniziali in entrambi i codici è una sorta di motivo a foglia radiante, normalmente in rosso e blu, in cui gli elementi sono definiti da linee sulla pergamena bianca, mentre il secondo motivo nel Sacramentario, un nodo allungato, si trova anche nella Bibbia. Infine la legatura a triplo nodo lungo le barre nei punti più stretti, anche nell’occhiello centrale di ogni nodo, sono identici.
Ciò che sorprende è che la sola illustrazione del Sacramentario non mostra alcun segno dello stile tardo di Marco, come invece si vede nella Bibbia. Certamente è così debole che nulla si può dire con certezza, e per questa ragione l’indizio non dovrebbe essere sovrastimato. Ma sembra abbastanza legato allo stile delle illustrazioni molto rudimentali del secondo Lezionario di S. Frediano, citato prima. Poiché il motivo a foglia radiante del Sacramentario e della Bibbia ricorre anche in forma primitiva nel Lezionario, sembra che Marco, nei suoi primi lavori come miniatore e illustratore, si sia rivolto ai manoscritti lucchesi come il Lezionario - se il Lezionario è veramente lucchese cosa che non è detta - sia per le iniziali e lo stile figurativo, e che solo più tardi assunse le forti influenze manifestate nelle illustrazioni della Bibbia.    

venerdì 15 luglio 2011

Soppravvivenze del XIII secolo (1a)

 (Garrison, Studies III, pp. 66-68)

In tre manoscritti, uno fiorentino e probabilmente databile nella prima metà del XIII secolo, uno molto probabilmente prodotto a Camaldoli nel 1240 - probabilmente miniato e illustrato da un lucchese - e un altro lucchese databile 1248-50, le iniziali, sebbene per molti aspetti perfettamente del loro tempo, sono pienamente modellate su quelle late geometrical del secondo quarto del XII secolo, stile che presentano in una certa purezza, anche se a diversi gradi. Nel primo, una sopravvivenza dello stile più antico può con una certa sicurezza essere postulato, poiché il protocollo antico è strettamente mantenuto. Negli altri due la situazione è meno certa, perché le iniziali mostrano un cambiamento considerevole: deve trattarsi di una rivisitazione. Specialmente nell’ultimo, il lucchese, un revival sembra la spiegazione più ragionevole. Nel primo e nel secondo l’idea di un revival è assecondata dalle scritture, che sono chiaramente tipi del XII secolo portati avanti. Nel terzo la scrittura è, al contrario, ben avanzata verso la gotica. Ma gli indizi non sono tutti qui. La scoperta di iniziali simili del XII secolo prodotte a Lucca, lungo la prima metà del XIII secolo, avvalora l’ipotesi di una sopravvivenza. 
Il primo dei tre manoscritti è una Concordantia evangeliorum della Laurenziana, Conv. Soppr. 343. Proviene dalla Biblioteca di Camaldoli dove aveva la segnatura Q.IV.4. Anche se è pensabile che sia stato prodotto in quel monastero, non siamo, allo stato attuale delle conoscenze su Camaldoli, nella posizione di attribuirlo; né la scrittura né le iniziali né le illustrazioni possono distinguersi come camaldolesi.
La scrittura ha un aspetto molto strano. Di base è del tipo riformato del XII secolo, con un lieve accenno alla goticizzazione, ma è certamente più spezzata, pesante e affastellata delle scritture del XII secolo. La s tonda è costante ovunque, e l’aumento delle abbreviazioni è considerevole. La r gotica appare qua e là, più frequentemente nei sottotitoli. I titoli sono in genere molto avanzati, e mostrano segni di goticizzazione accanto alla decorazione a rotoli in rosso e blu che diverrà normale nel XIII secolo e che rimarrà lungo il XIV. La scrittura mostra, in aggiunta, un certo tremore che quasi certamente tradisce la mano di un monaco anziano. La scrittura è infatti la prima prova del fatto che il codice deve essere stato prodotto nel XIII secolo e non nel XII.
Ulteriori prove risiedono nelle due illustrazioni del codice. La figura a mezza altezza la f. 176v è estremamente vicina ai lavori del XII secolo e più precisamente ai codici fiorentini del terzo quarto del secolo. Può essere confrontato direttamente con le figure a mezza altezza del Maestro del Sacramentario Morgan e dei miniatori ad esso legati, e sopratutto a quelle del Commentario di s. Agostino su s. Luca e a una figura a mezza altezza del Messale di Camaldoli, che ho precedentemente datato all’inizio del terzo quarto ma che dovrei ora porre qualche anno dopo, nel pieno terzo quarto. Può anche essere confrontata con la figura a mezza altezza nel fiorentino Omeliario della Vallicelliana, ma vi sono alcune differenze. C’è un piccolo cambiamento nelle forme e un maggiore chiaroscuro. Queste sono sfociate, nella figura intera del f. 23, forse s. Matteo, in una nuova tipologia e un nuovo aspetto complessivo, che ci porta nel XIII secolo. Un lavoro così lontano come quello del Maestro della Traslazione di Anagni, che era attivo nel secondo quarto del secolo e oltre, e nel pittore dell’abside di S. Silvestro a Tivoli, che ho altrove chiamato suo allievo, è vagamente riportato alla mente.
Le iniziali sono ovviamente modellate su quelle late geometrical del terzo quarto del secolo, e più strettamente su quelle fiorentine. La struttura, i riempimenti delle iniziali e il fogliame degli interstizi, tutte sono legate a queste caratteristiche a Firenze. Ci sono però alcune differenze: i colori sono più intensi, ed è frequente un verde intenso. Il fogliame degli interstizi è più regolare, più strutturato, più approssimativo e superficiale per essere stato prodotto nel XII secolo. Si verifica una frequente soppressione nell’apertura delle barre, cioè degli scomparti, un ritorno alla barra piena, specialmente verso la terminazione della lettera, che è parte integrante della decadenza dello stile.
Per mancanza di confronti, è difficile datare un codice del genere. Soprattutto è difficile porre un limite alle sopravvivenze dello stile delle iniziali del terzo quarto in questa forma pura. Guardando il codice contro lo sfondo dello sviluppo centro italiano, in cui la scrittura del XII secolo stava per essere stabilmente goticizzata, e lo stile delle iniziali del XII secolo stava per essere spezzato, si deve invocare, così sembrerebbe, in aggiunta alla longevità dei miniatori, un eccessivo spirito di conservatorismo, contro il quale non può porsi alcun limite significativo. Questo conservatorismo è tuttavia probabilmente confinato ad una regione piccola, forse ad un singolo monastero, uno in cui si sia costituita una forte tradizione. Ma anche in questo caso, non può aver evitato tutti gli stimoli del cambiamento. Al presente, la vaga relazione del santo intero con Anagni è l’indice di datazione più definito che abbiamo. Finché altro materiale di confronto sarà raccolto, sembra necessario accontentarsi di una datazione abbastanza imprecisa in qualche momento della prima metà del XIII secolo.

mercoledì 13 luglio 2011

Il periodo XII ex. - XIII in. (1e)

(Garrison, Studies III, pp. 64-65)

Un piccolo numero di manoscritti toscani è di aspetto ancora più tardo e come è stato detto probabilmente databile alla fine del secolo o all’inizio del successivo.
1. Firenze, Laurenziana Plut. 23.10, Epistole paoline con glossa, con due piccoli s. Paolo a mezza altezza non troppo inaccurati, certamente fiorentino. La scrittura mostra una goticizzazione incipiente con le capitali gotiche rosse e blu nelle intestazioni che diverranno tipiche nel XIII secolo, e con s tonda costante a fine parola. Le iniziali mostrano ancora una struttura e motivi late geometrical ma tradiscono la loro tardività in una certa superficialità. Tutti i riempimenti delle barre sono ridotti nei loro termini più semplici. Il codice è notevole tuttavia per poche iniziali con uccelli e pesci inconsuetamente immaginative (Timoteo II, Tito, Filemone, Ebrei). Più probabilmente è del tardo XII piuttosto che del primo XIII secolo.
2. Firenze, Nazionale, Conv. Soppr. 715 (G.1), Commentario ai Salmi non illustrato da Vallombrosa, certamente fiorentino, in cui è sopravissuta una sola iniziale geometrica piuttosto trasformata al confine con il tipo del XIII secolo, le rimanenti sono state ritagliate da vandali.
3. Firenze, Nazionale, Conventi Soppressi 376 (A.2), una Concordia discordantium canonum sempre da Vallombrosa, probabilmente fiorentina, anche se nessuna delle indicazioni è certa. La scrittura è goticizzante, con le solite intestazioni a capitali rosse e blu. Le iniziali sebbene mostrino ancora alcuni dettagli geometrici, tuttavia esemplificano la rottura dello stile. Solo la H del f. 1v è stata completata, le altre sono incomplete e solo disegnate. La benedizione di Cristo nella H è meno interessante degli schizzi marginali che si trovano lungo il codice. Il codice è quasi certamente dell’inizio del XIII secolo.
4. Siena, Comunale, F.III.15, Dialoghi di S. Gregorio, illustrato, dal monastero di S. Antonio de..., certamente senese a giudicare dalle principali caratteristiche. La scrittura è del tipo di transizione molto pesante, probabilmente tradisce una certa goticizzazione, e le iniziali sono riconoscibilmente late geometrical. Le tre piccole illustrazioni, un s. Gregorio a mezza altezza in una Q al f. 1, un santo a mezza altezza in una C al f. 42v, e in una P al f. 75, tradiscono più di ogni altra caratteristica la loro patria senese. Il codice è probabilmente ancora del tardo XII secolo.
5. Siena, Comunale, I.I.7, un Antifonario in cui solo la seconda parte, la parte estiva (dal f. 161 in avanti) mostra iniziali miniate e qualche illustrazione di ambiente molto più tardo. Questo codice è di particolare importanza perché presenta un colophon nella prima parte (f. 160v) e una intestazione nella seconda parte (f. 161) che prova che è senese:
f. 160v: presbiter gratia sancti Donati senensis canonicus hunc librum scripsit manibus suis ad honorem dei et beati Donati episcopi et martiris. deo gratias.
f. 161: incipit liber antiphonarii estualis quam presbiter gratia ad honorem dei et beati Donati amnibus suis scripsit.
L’identificazione di questa Grazia di S. Donato tra le chiese canoniche della cattedrale di Siena dovrebbe confermare la datazione approssimativa dell’Antifonario. Ma questo si è rivelato impossibile: questa canonica non sembra essere conosciuta. La scrittura è di ambiente fortemente gotico, anche se non può essere ancora chiamata pienamente gotica. Le iniziali sono basate pienamente ancora sullo stile geometrico, ma manifestano una tendenza decisiva a variarla e a staccarsene. Il codice potrebbe essere ancora del XII secolo, ma è più probabile che sia dei primi anni del XIII.
6. Assisi, Comunale, cod. 2, Glossa ai libri delle sentenze, illustrato, presenta problemi di datazione. Mentre la scrittura è apparentemente tarda, le iniziali sono pure late geometrical del terzo quarto del secolo. La scrittura è abbastanza angolosa, ed è difficile decidere se è di mano di un transalpino, o di un monaco di formazione transalpina, se la sua apparente recenziorità sia dovuta alla sua angolarità e forse a una goticizzazione precoce in Italia e se lo stile di iniziali precedente sia stato perfettamente copiato in un momento successivo. Dal momento che anche le intestazioni in capitali sono goticizzate, la seconda alternativa sembra più probabile, anche se non certamente.

domenica 10 luglio 2011

Il periodo XII ex. - XIII in. (1d)

(Garrison, Studies III, pp. 60-64)

A mostrare imitazioni anche più rozze di stili precedenti è una Bibbia atlantica in quattro volumi della Biblioteca di Earl of Leichester alla Holkham Hall a Norfolk, cod. 6. I volumi sono di taglie differenti e hanno diverso numero di linee per pagina. Ma dal momento che la stessa scrittura e la stessa decorazione riappaiono lungo i volumi, tutti e quattro devono essere stati prodotti nello stesso monastero e circa nello stesso periodo.
Gran parte della scrittura, pesante e avanzata, può essere riconosciuta come derivata dal tipo middle geometrical del secondo quarto del secolo. Tuttavia è probabile che sia stata vergata sia da umbro-romani che da fiorentini. Alcune scritture nel volume II e IV raggiungono una versione molto pesante del tipo di transizione. Ma molte volte si è visto che non si può giungere ad una conclusione sulla localizzazione da una tale mescolanza. Tutte le scritture sono estremamente avanzate; alcune si pongono al confine con la gotica. Le capitali a lato della F del Prologo sono particolarmente goticizzanti, così come le altre capitali. La scrittura è dell’ultimo quarto del secolo.
La decorazione, che accanto alle iniziali include la cornice di una pagina incipitaria e le Tavole dei Canoni, non mostra tuttavia la logica rottura con lo stile che si vede nei codici migliori del periodo, ma uno stucchevole scimmiottamento di molti stili precedenti, un loro inarticolato miscuglio, senza che si raggiunga una coerente unitarietà. Nel volume I, la decorazione è basata principalmente sullo stile middle geometrical di Roma. Ma in esso vi è molto dello stile late geometrical mischiato assieme. La F del Prologo per esempio deve essere stata presa da una delle F o della I middle geometrical. Il motivo base viene direttamente da quei motivi presenti nella I della Genesi del Vat. lat. 4217, e nella Bibbia Rossiana, o nella F e nella I del S. Crisogono e nelle Bibbie di Milano. Molte altre lettere distribuite lungo il primo, il terzo e il quarto volume, richiamano quelle dello stesso gruppo romano. Per di più una delle Tavole dei Canoni mostra un animale ranicchiato alla base di una colonna che ricorda fortemente gli animali così ranicchiati del Vat. lat. 4217.
Allo stesso tempo molto è ripreso dai codici più tardi, come quelli dei maestri di Napoli e della Bibbia di Avila. Molti dei riempimenti delle barre, motivi che ricorrono anche negli sfondi quadripartiti e di forma strana, sono late geometrical. D’altra parte, il miniatore del volume II mostra una predilezione per i motivi early geometrical - motivi simili ricorrono nel volume IV - che deve aver ripreso da codici più antichi e migliori. La divisione verticale delle barre nelle iniziali piccole è un abuso di uno stilema impiegato dai creatori dello stile nelle lettere più grandi.
Per il fatto che si tratta di un codice di fattura provinciale, deve essere stato prodotto dopo i suoi modelli. Il simbolo di s. Matteo dà la misura dell’abilità del suo miniatore. Deve essere stato prodotto nell’ultimo quarto del XII secolo in qualche monastero isolato, molto probabilmente in un luogo decentrato del Lazio, dell’Umbria o della Toscana.
Da datare all’ultimo quarto del secolo è un Messale della Biblioteca Laurenziana, Gadd. 44; che sia stato prodotto per l’uso fiorentino è provato dalla presenza di s. Zenobio nella litania (f. 111v), e di s. Romolo tra i santi che hanno messa propria (f. 189). Inoltre è certo che la posizione della messa di s. Gaudenzio tra s. Crisogono ( 24 novembre) e s. Andrea (30 novembre) significa che si intende il prete e abate di Fiesole, la cui festa cade il 26 novembre, ed è quindi certamente un ulteriore indizio per Firenze. Il Messale contiene un santo a mezza altezza in una F al f. 1, e una Maestà e una Crocifissione al f. 114v. Il primo è manifestamente legato nello stile al gruppo del Messale di Camaldoli, Conv. Soppr. 292 della stessa Biblioteca. Sfortunatamente gli altri due sono così rovinati da pesanti ombre che non riescono a confermare un eventuale fiorentinismo. Tuttavia si può ancora vedere che la Maestà è iconograficamente vicina alla Maestà di un codice fiorentino come il Messale di Camaldoli.
La scrittura è pienamente del tipo middle geometrical fiorentino, anche se è una versione estremamente pesante e nera, segno di una relativa recenziorità. Le iniziali mantengono tratti late geometrical nella forma pura. Nella struttura sono legati alle iniziali late geometrical del terzo quarto del secolo a Firenze, presentando le stesse terminazioni inferiori piene e bianche, come nella I e nella P, e molti degli stessi riempimenti delle barre, incluso il nodo radiante (come nella P).
Il Messale è certamente fiorentino dell’ultimo quarto del XII secolo.
Infine, con ogni probabilità da assegnare all’ultimo quarto del secolo è il Commentario di s. Girolamo al Vangelo di Matteo, cod. lat. 1845 nella Bibliothèque Nationale a Parigi, che contiene una piccola testa eseguita dal Maestro della prima Bibbia Casanatense; la scrittura e le iniziali assicurano che si tratta di un lavoro pistoiese. In codice è in realtà diviso in due parti, il Commentario di s. Girolamo fino al f. 107, con il f. 107v rimasto bianco, e un Commentario anonimo sul Vangelo di s. Marco dal f. 108 alla fine. Ma la stessa mano ricorre nelle due parti che quindi devono essere state prodotte nello stesso scriptorium e circa alla stessa data.
Le scritture, di diverse mani, sorprendentemente non sono molto avanzate, e mantengono molto del carattere pistoiese precedente, con anche una certa sottigliezza che ricorda il secondo quarto del secolo e la influenza lucchese nella scrittura di questa regione in questo momento. La goticizzazione che si sviluppò altrove in questo periodo attesta una costanza inusuale, almeno nello scriptorium di produzione. Le iniziali tuttavia confermano la datazione tarda qui proposta. Sono limitate alla prima parte del codice e sono anche molto poche. Anche se presentano reminiscenze delle iniziali dei manoscritti pistoiesi del terzo quarto del secolo, mostrano tuttavia un cambiamento ulteriore della versione pistoiese dello stile geometrico. Le barre, che sono tutte in oro, sono estremamente sottili, e gli scomparti sono in molti casi poco più che striscette. I riempimenti delle barre sono dei più semplici. Le iniziali tuttavia, come è stato detto, sono indissolubilmente legate alle altre iniziali pistoiesi studiate. Le strisce di piccoli puntini come riempimento delle barre che si incontrano così frequentemente nella Bibbia Casanatense ricorrono anche qui. Anche se molto del fogliame è nuovo nel disegno, talvolta, come nella L del f. 3, richiama vividamente il fogliame di altri codici, specialmente nell’aspetto a corpo pieno conferito da pesanti tocchi sfumati di verde. Le stesse rosette a tre punti sono disseminate negli sfondi di tutto il codice, e il motivo a uccello alla base della I al f. 28 è naturalmente della stessa famiglia di quello alla base della I al f. 194v nell’Omeliario della Roncioniana.
        

sabato 9 luglio 2011

Il periodo XII ex. - XIII in. (1c)

(Garrison, Studies III, pp. 57-60)

Molti altri mansocritti possono, come è stato detto, più plausibilmente essere assegnati all’ultimo quarto del secolo.
Uno dei più importanti di questi codici a presentare lo stile geometrico nella forma pura è il primo volume di una Bibbia atlantica nella Biblioetca Nazionale di Roma, Sessoriano 2. Ho altrove considerato la sua storia: nel XIII secolo, e forse già alla fine del XII, si trovava nel Castello di Castrocaro, vicino a Forlì, e più probabilmente nella chiesa di S. Reparata. Ho suggerito una datazione al tardo terzo o all’inizio del quarto quarto del XII secolo, tra 1165 e 1185 o 1190. Ora considero il 1165 troppo anteriore, il codice sembra più probabilmente essere stato prodotto nel pieno ultimo quarto. Ho suggerito un’origine nella regione romana, ma la base per questa attribuzione ora mi sembra meno certa, il codice deve essere meno precisamente assegnato al centro Italia. Né la scrittura né le iniziali né le illustrazioni forniscono indicazioni decisive di origine.
La scrittura, visibile accanto alla F del Prologo manifesta molto chiaramente un’incipiente goticizzazione. Nelle iniziali, i riempimenti delle barre sono generalmente quelli del repertorio late geometrical nell’Italia centrale, e il fogliame degli interstizi è pienamente legato a quello che si ritrova in molti altri codici della regione. Le iniziali mostrano una grande leggerezza, ma allo stesso tempo un certa manualità pesante e una inadeguata superficialità che tradisce una vecchia tradizione ormai superata. Questi aiutano a datare il codice verso la fine della lunga sequenza dell’evoluzione dello stile late geometrical. Sfortunatamente, allo stato attuale delle nostre conoscenze, le illustrazioni sono completamente ineloquenti sul luogo in cui furono realizzate.
Molto vicino alla Bibbia di Castrocaro nella scrittura e nella unica illustrazione è un frammento di un’altra Bibbia atlantica nella Biblioteca Alessandrina dell’Università di Roma, cod.1. Questa Bibbia è in ogni modo derivata in maniera più riconoscibile da altri codici della stessa sequenza già oggetto di studio. La scrittura sembra di base essere una versione pesante, leggermente goticheggiante del tipo middle geometrical di Roma e Firenze. La s tonda occorre ancora, poco frequentemente, a metà riga a fine parola. Nelle iniziali, i motivi di riempimento delle barre, più variati che nel codice precedente, mostrano non solo una normale rosetta late geometrical (nella parte sinistra della U, nello scomparto superiore della F e nella parte superiore della B) ma anche una derivazione dalla versione fiorentina (nel tratto destro della U e nel secondo scomparto della F), come anche una versione della rosetta a otto petali così popolare a Pisa (terzo scomparto della F). Sia la scrittura che le iniziali forniscono una buona ragione per ritenere questa Bibbia leggermente antecedente alla precedente.
La scrittura nelle due Bibbie, nonostante le differenze, è legata in generale. La sola illustrazione, un s. Paolo seduto, è legata nella sua plasticità di mano pesante alle illustrazioni dell’altra Bibbia, anche se è sicuramente di una mano diversa. Sono le iniziali che legano i due codici più manifestamente. La struttura generale e le proporzioni sono molto simili. L’uso di teste di uccello nelle barre e di rosette di punti negli interstizi delle barre e negli sfondi è anch’esso simile. Il fogliame degli interstizi è simile nel disegno e nell’esecuzione, anche nei dettagli dei tralci, delle foglie e della forma dei baccelli. Il raddoppiamento delle linee nel motivo di riempimento delle barre è sintomatico in entrambi.
Sfortunatamente tutto questo fornisce pochi indizi alla localizzazione, e questa Bibbia, come l’altra, è stata al meglio classificata per il momento come centro italiana.
Il primo volume di una Bibbia atlantica nella Biblioteca Nazionale di Napoli, cod. VI.AA.20, è stato sempre raggruppato con un secondo volume, che ne è malamente la continuazione, cod. VI.AA.21 della stessa Biblioteca, tanto che sono stati considerati come codici dello stesso periodo e della medesima origine. Sono stati chiamati insieme Bibbia Alfonsina o Bibbia Olivetana, poiché si diceva che fosse stata donata da Alfonso II (1494-95) al monastero napoletano di Monte Oliveto. In realtà i due volumi sono di periodi nettamente differenti e furono probabilmente prodotti in luoghi differenti. Il cod. VI.AA.21 è un codice early geometrical del primo quarto del XII secolo, certamente prodotto nella regione umbro-romana se non a Roma stessa, mentre il cod. VI.AA.20 è molto tardo, derivativo, con decorazione late geometrical, in cui i segni di rottura dello stile sono evidenti, tra i quali notevole è l’imitazione della decorazione geometrica molto anteriore. A giudicare dagli indizi più rimarchevoli, questo codice deve essere stato prodotto nell’ultimo quarto del secolo. e forse verso la fine, in qualche monastero isolato lontano dai grandi centri di produzione.
La scrittura è di diverse mani, che utilizzano diversi tipi di cui alcuni più avanzati di altri. Alcuni sembrano avvicinarsi al tipo middle geometrical della regione umbro-romana, altri al tipo di transizione, tutti in versioni molto pesanti. Ma alcune, e soprattutto la mano visibile nelle illustrazioni, mostrano una incipiente goticizzazione, e un uso quasi costante della s tonda a fine parola - anche se la s diritta appare qua e là - e un aumento considerevole delle abbreviazioni. Queste ultime mani sono significative per la datazione del codice, e lo pongono nell’ultimo quarto del secolo. Sfortunatamente, allo stato attuale delle conoscenze, non gettano alcuna luce sulla regione in cui il codice fu copiato, anche se si può dire che sono diversi da quelli incontrati in altri codici studiati.
La cornice della pagina incipitaria e gran parte delle iniziali sono late geometrical. Quasi tutte le iniziali hanno sfondi squadrati, alcuni quadripartiti. Ma i disegni sono ovunque inaccurati, l’esecuzione è sempre superficiale. La F del Prologo e la I della Genesi esemplificano queste caratteristiche al massimo grado. Sono perdipiù non dello stile late geometrical ma sono dirette imitazioni di iniziali precedenti middle geometrical. Questa differenza nello stile conferma la natura derivativa del codice. I dettagli sono ancora più rivelatori. Queste iniziali sono evidentemente basate sulle iniziali di due gruppi di Bibbie middle geometrical umbro-romane, o probabilmente romane, o altre dello stesso tipo, il primo composto da Marciana lat. I, Napoli Nazionale XV.AA.I e Vat. lat. 4217, il secondo da Vat. Ross. 617, Vat. lat. 4220-21 e Milano S. Ambrogio M.55. La struttura generale e i motivi di suddivisione in scomparti, come i motivi di riempimento delle barre, devono essere derivati da queste Bibbie. Solo la permanenza di intrecci early geometrical al centro deve essere stata ispirata da codici ancora più antichi - nessuna delle iniziali middle geometrical li presenta in questo modo, anche se il più antico, la F del Marciano, li presenta nelle traverse. I triangoli alla base derivano da quelli del primo gruppo. Ma ad indicare una copia diversa sono le proporzioni qui più tozze, completamente differenti dai modelli, la parte superiore delle stesse lettere sproporzionatamente corta, gli intrecci amorfi delle terminazioni superiori, l’eliminazione della divisione centrale nel triangolo sotto alla I, la taglia eccessivamente grande del motivo base, e la differenza nei motivi che aggettano dai lati, ripresi dal tipo asimmetrico nel modello ma qui usato simmetricamente.

venerdì 8 luglio 2011

Il periodo XII ex. - XIII in. (1b)

(Garrison, Studies III, pp. 51-57)

Tre importanti manoscritti dello stesso periodo possono essere attribuiti a Firenze.
Mantenendo ancora gran parte delle abilità dei miniatori dei codici precedenti, come anche dettagli precedenti, ma a causa della scrittura avanzata da assegnare a questo punto, è un Nuovo Testamento atlantico rozzamente illustrato, proveniente dalla Biblioteca di Vallombrosa, ora alla Laurenziana, Conv. Soppr. 295. La scrittura è del tipo middle geometrical, con un’enfasi minore nei trattini finali rispetto ai precedenti esempi fiorentini, un tratto che potrebbe essere interpretato come dovuto all’influenza pisana o lucchese, e con s tonda quasi costante a fine parola. C’è una grande iniziale geometrica all’inizio di ogni libro, e molte iniziali geometriche piccole sono distribuite nei prefazi e nei testi. Queste iniziali, accuratamente disegnate e con barre d’oro, mostrano molti dei dettagli fiorentini già spesso incontrati, le rosette distintive, il nodo radiante, e il fogliame base bianco e pieno. Il fogliame degli interstizi, anche se in generale legato al fogliame tipico late geometrical, tuttavia tradisce un nuovo spirito di sperimentazione con tralci a nastro, risultato forse di un ritorno ai modelli ottonizzanti. Un ritorno a modelli precedenti si è verificato anche, anacronisticamente, per le iniziali a barra piena, che occorrono qua e là. Inconsuetamente presentano le barre d’oro, una caricatura del protocollo precedente in cui le iniziali considerate originariamente secondarie e riservate ai testi meno importanti sono ora ritenute più importanti. C’è anche un buon numero di iniziali calligrafiche rosse, più tipiche del periodo.
Per molti aspetti anche più legato ai modelli precedenti è un codice delle Epistole paoline della Laurenziana Plut. 23.5. Questo manoscritto è infatti certamente un prodotto più tardo dello stesso scriptorium che ha prodotto i manoscritti legati ai maestri Marturi, non si può dire se nella stessa S. Michele a Marturi o altrove. Le illustrazioni e le teste decorative sono molto vicine a quelle del Lezionario di S. Maria del Fiore (Laurenziana, Edili 141) e del primo Omeliario di S. Pietro a Grado (Laurenziana, Plut. 18.24), e presentano gli stessi dettagli di forma e la stessa combinazione di chiaroscuto e di linearismo. Da notare specialmente la testa decorativa negli interstizi della P di Timoteo. Le iniziali in molti dettagli richiamano anch’esse quelle di questi codici. Vi sono relazioni anche con il S. Gregorio di S. Marco (Laurenziana, S. Marco 556). Tuttavia, le capitali in rosso e blu estremamente goticizzanti e la scrittura molto avanzata suggeriscono di assegnare le Epistole un po’ più tardi degli altri codici.
La scrittura, certamente goticizzante ad un certo livello, presenta una percentuale anacronisticamente alta di s diritte, specialmente a fine parola all’interno della riga. Le iniziali, seppure late geometrical, mostrano un accumulo di motivi anteriori che sebbene siano un tratto tipico fiorentino è sorprendente ad una data così tarda. Come molte altre caratteristiche nel codice, probabilmente è testimone di una tradizione scrittoria particolarmente forte che comporta un ritorno costante ai prodotti precedenti. Vanno notati non solo gli intrecci early geometrical in fase decadente del manoscritto di S. Marco (Tito) ma anche il nodo allungato di transizione nella sua versione fiorentina (Corinzi II, Galati e Timoteo I). Dominano naturalmente motivi late geometrical, tra cui una versione decadente della rosetta fiorentina. Le maschere alla base, con il loro fogliame bianco pieno, possono essere confrontate con altre del gruppo menzionato.
Uno dei più interessanti tra i manoscritti tardi fiorentini per l’iconografia elaborata (e altamente originale per la Toscana) delle illustrazioni, è un Omeliario atlantico della Laurenziana, Conv. Soppr. 631. Nel XV secolo a Camaldoli, fu portato successivamente a S. Maria degli Angeli a Firenze. La scrittura è di diverse mani, alcune delle quali sono middle geometrical, altre di un tipo di transizione sviluppato. Tutte sono pesanti nel ductus, e la pesantezza è particolarmente marcata verso la fine del volume, dove i copisti più giovani sembrano aver avuto il permesso di intervenire. La s tonda è costante a fine riga e frequente a fine parola. Le iniziali sono di due tipi principali. La maggioranza sono iniziali late geometrical scarne, trascurate, talvolta con motivi di transizione e perfino early geometrical, tra cui c’è la mezza rosetta. Ma ci sono numerose iniziali dal sapore gallicizzante, ad esempio la S del f. 2: sono notevoli per le numerose figure umane con cui sono decorate. Una certa unità si può vedere in due tipi, grazie alla presenza dello stesso riempimento delle barre late geometrical in entrambi e ai colori, un blu chiaro e un rosso-rosato che dominano ovunque.
Un codice fiorentino meno importante del periodo necessita solo di una citazione breve:
1. Firenze, Laurenziana, Conv. Soppr. 299, un Omeliario atlantico non illustrato, che appartenne a Vallombrosa. La scrittura riformata è di diverse mani. Fino al f. 56v è di un tipo solido che richiama la scrittura lucchese del terzo quarto. Dal f. 57 fino alla fine molte mani sono decisamente fiorentine, e middle geometrical. Le capitali sono goticizzanti. Le iniziali, gran parte delle quali molto piccole, sono di un tipo late geometrical decadente, con colori strani e pallidi, con preminenza di marrone chiaro e verde, e molto rozze nell’esecuzione.
Due altri manoscritti dello stesso periodo sono certamente toscani e potrebbero essere lucchesi:
1. Cambridge, Fitzwilliam Museum, McClean 29, Epistole paoline con glossa, che sebbene un tempo appartenuto al monastero di S. Maria di Morimondo, vicino a Milano, deve essere stato portato dalla Toscana e probabilmente, a giudicare dal s. Paolo a mezza altezza rozzamente eseguito in una P all’inizio, da Lucca, in cui la scrittura è avanzata con accenni alla goticizzazione e in cui le iniziali late geometrical mostrano un’evoluzione tarda, con accenni all’allentamento del protocollo.
2. Lucca, S. Frediano, Guardaroba, un Lezionario (Lezionario II), che contiene cinque piccole illustrazioni in altrettante iniziali, un s. Paolo a mezza altezza in una F al f. 2, una natività abbreviata in un’altra F al f. 10v, un s. Silvestro a mezza altezza in una E al f. 102, una piccola Madonna ad altezza piena in una I al f. 114v, e un angelo a mezza altezza in una E al f. 118v, che potrebbe essere anch’esso lucchese ma in cui le indicazioni sono lontane dall’essere definitive.    

giovedì 7 luglio 2011

Il periodo XII ex. - XIII in. (1a)

Il tardo XII e il primo XIII secolo
(Garrison, Studies III, pp. 51)

Nell’ultimo quarto del XII secolo due sviluppi notevoli hanno caratterizzato i manoscritti prodotti nell’Italia centrale. La scrittura presenta indizi di sviluppo verso la gotica, anche se non si può dire che una vera gotica sia emersa prima della fine del secolo o dell’inizio del successivo, e anche se versioni nere e pesanti degli stili del XII secolo continuarono a sopravvivere in certi monasteri. Lo stile geometrico delle iniziali gradualmente si diluisce fino al punto di disintegrarsi, e solo qua e là continua in forme riconoscibili nel secolo successivo.
L’evoluzione della scrittura è strana, perché una gotica nordica pienamente sviluppata sembra nella regione aver sostituito i modi precedenti. Ma piuttosto la gotica nordica all’inizio sembra aver influenzato - in vari gradi - copisti già formati nei modi precedenti, e solo gradualmente aver modificato la scrittura che può essere veramente chiamata gotica. Questa tendenza verso la gotica è visibile nel ductus più pesante e compatto, con un’enfasi nei tratti discendenti, un’elaborazione delle lettere, che solo gradualmente assumono forme gotiche, e nella moltiplicazione delle abbreviazioni, anche se non raggiunge la crittografia fino al pieno secolo XIII. Questi processi iniziano prima e sono più rapidi nelle capitali che nelle lettere minuscole, come si nota nella Bibbia di Calci del 1168-69. Nella scrittura minuscola si nota infine che la s diritta praticamente scompare a fine parola ovunque, con eccezioni di ritardo, anche se continua nel XIII secolo ad essere utilizzata consistentemente nel corpo di parola.
La conseguente evoluzione dello stile geometrico delle iniziali termina in questo periodo. Lo stile è ora più spesso corrotto in molti modi. In molte iniziali, gli elementi geometrici che avevano dominato per oltre un secolo furono relegati a ruoli subordinati. In altre, sono perduti nel disordine di esperimenti capricciosi. Ma questo non riuscì a creare un nuovo stile unitario: forse per questo motivo molti centri preferirono mantenere o rivivere gli stili precedenti. Così, in alcuni manoscritti lo stile antico riappare in forme pure fino alla metà del secolo XIII; alla fine di questa sezione, tre ne saranno presentati per dimostrare questo, uno dei quali, fiorentino, è databile probabilmente alla prima metà di questo secolo, mentre il secondo, camaldolese anche se probabilmente miniato e illustrato da un lucchese, è databile al 1240, e il terzo, lucchese, è databile al 1250. Ma queste date segnano il limite estremo di sopravvivenza, o di revival, dello stile geometrico del XII secolo.
In ogni caso, le iniziali denotano un interesse artistico minore in questo periodo. Sono storicamente meno utili perché non seguono un corso di evoluzione consequenziale, e sono quindi difficili da porre cronologicamente e da utilizzare come indici di datazione. Lo stesso accade anche per le illustrazioni, con rare eccezioni. Per queste ragioni, relativamente pochi manoscritti del periodo sono stati considerati in questo studio. Si tratta di quelli che più tenacemente hanno mantenuto lo stile late geometrical. Non c’è tuttavia una buona ragione per ritenere che la quantità di manoscritti prodotti nella regione sia declinata; molti altri sono distribuiti nelle biblioteche del mondo. Ma la preminenza è passata da Roma e dall’Umbria alla Toscana, così i manoscritti toscani sono molto più numerosi di quelli umbro-romani.
Questi ultimi manoscritti saranno trattati in tre gruppi: 1) quelli che mantengono gran parte di ciò che non era più in uso al tempo in cui furono prodotti nel terzo quarto del secolo, ma che mostrano certi cambiamenti nelle iniziali accanto a sviluppi della scrittura che rendono egualmente probabile una datazione all’ultimo quarto; 2) quelli in cui il cambiamento di iniziali e di scrittura è passato da un tempo sufficiente da assegnarli decisamente all’ultimo quarto del secolo; 3) quelli in cui la rottura con il protocollo delle iniziali è così avanzato e la scrittura così goticizzata che devono essere datati anche dopo, alla fine del XII o all’inizio del XIII secolo.
Solo un manoscritto, probabilmente ancora della fine del terzo quarto del secolo ma più realisticamente dell’inizio del quarto, può essere attribuito alla regione umbro-romana: un frammento rozzamente illustrato di un Passionario all’Ambrosiana di Milano, cod. B 49 inf, pt.1. La scrittura riformata è molto pesante e nera, le iniziali late geometrical sono povere e di derivazione, segno di recenziorità. L’agiologia indica la regione umbro-romana, poiché comprende s. Ercolano, vescovo di Perugia, poiché una vita di s. Fortunato vescovo di Todi è aggiunta alla fine da una mano approssimativamente contemporanea, e perché non vi sono indicazioni positive di altre regioni.  

mercoledì 6 luglio 2011

Lo stile 'late geometrical' (11)

10. Manoscritti centro-italiani non meglio attribuibili
(Garrison, Studies III, pp. 49-50)

Sei ulteriori manoscritti che contengono scrittura e iniziali late geometrical che li pongono nel terzo quarto del secolo, da assegnare certamente a località ristrette, sono da classificare come centro-italiani:
1. Lucca, S. Frediano, Guardaroba, un Lezionario (Lezionario I) non illustrato, che contiene in aggiunta alle iniziali geometriche alcune a barra piena, del primo quarto;
2. Roma, Vaticana, Urb. lat. 543, un Salterio glossato del pieno quarto;
3. Admont, Stiftsbibliothek, cod. I, un Passionario atlantico, con poche illustrazioni, che è di comprovata produzione per l’uso ravennate grazie alle celebrazioni per s. Pietro crisologo, s. Ursicino e s. Barbaziano, il primo un arcivescovo, gli altri due vescovi di Ravenna, non venerati come gruppo altrove, e anche grazie all’inclusione di altri vescovi ravennati che erano più ampiamente venerati, come s. Severo e s. Procolo; potrebbe essere stato prodotto nella regione ma più probabilmente è stato prodotto più a sud, nel pieno quarto di secolo o poco più tardi;
4. Innsbruck, Universitätsbibliothek, cod. 268, Epistole paoline con glossa, non illustrate, da assegnare tardi nel quarto di secolo;
5. Klagenfurth, Priesterseminar, cod. I, Epistole paoline con glossa, con un’unica illustrazione non importante, un s. Paolo a mezza altezza in una P al f. 172, che è approssimativamente dello stesso periodo;
6. Venezia, Marciana, lat. I.18, un Salterio non illustrato con glossa, che è da assegnare tardi nel quarto di secolo.
Da notare infine che il frammento di Bibbia atlantica nel Museo d’arte sacra de L’Aquila che è stato qui considerato sotto lo stile early geometrical, in realtà presenta elementi late geometrical che contribuiscono a classificarlo come opera in ritardo, perché provinciale, della metà del secolo, o anche un poco più tardi.

Lo stile 'late geometrical' (10)

9. La regione senese
(Garrison, Studies III, pp. 47-48)

Un certo numero di manoscritti mostra nelle iniziali e nelle illustrazioni e forse anche nelle scritture alcuni tratti distintivi: una linearità agitata, un turbamento nervoso, e una complicazione disordinata di motivi. Quasi tutti sono nella Biblioteca Comunale di Siena, alcuni con note che attestano la provenienza da chiese e monasteri senesi, altri che contengono indizi interni nella forma di notizie storiche scritte da senesi. Questi tratti possono essere quindi considerati senesi. Uno dei manoscritti è già stato considerato in connessione agli stili precedenti, e due saranno trattati nella fase finale dello stile late geometrical. Altri ancora contengono iniziali che non sono di interesse diretto in questo studio, alcune delle quali con influenze fortemente gallicizzanti citate nella Parte I.
Due del gruppo sono trattati a questo punto, un Omeliario e, più importante, una Bibbia atlantica. Gran parte delle iniziali e delle illustrazioni in questi due codici mostrano al pieno le caratteristiche menzionate. E anche se le scritture necessitano di uno studio ulteriore - come del resto tutte le scritture senesi - vale la pena notare che in alcune di esse sembra essere latente una elaborazione delle forme che sembrano esprimere lo stato d’animo senese, anche se bisogna ammettere che è difficile tracciare una linea precisa tra queste manifestazioni e la vera goticizzazione.
Un Omeliario atlantico nella Biblioteca Comunale di Siena, cod. G.I.1, mostra indizi di essere stato prodotto ben addentro al terzo quarto del XII secolo; vergato da diversi copisti, alcune mani sono più avanzate di altre, ma in tutte, anche se il ductus è pesante e nervoso, sembrano portare memoria della scrittura middle geometrical del secondo quarto nella sua versione tonda fiorentina. Gran parte delle iniziali late geometrical che tendono alla semplicità nel disegno, sono pienamente sviluppate nell’aspetto generale. Ma mostrano anche la caratteristica, inconsueta ad una data così tarda, di tenere memoria del secondo quarto di secolo, particolarmente nel fogliame degli interstizi gallicizzante, del tipo utilizzato non solo a Siena ma anche, e più tipicamente, a Lucca. L’Omeliario deve tuttavia, a causa delle caratteristiche avanzate nelle iniziali, essere assegnato al pieno terzo quarto del secolo.
Il più importante tra i manoscritti senesi con decorazione late geometrical è la Bibbia atlantica in due volumi largamente decorata e illustrata della Biblioteca Comunale di Montalcino.
La scrittura è di diverse mani, tutte poco avanzate, anche se alcune sono più avanzate di altre, in cui il ductus è pesante, l’uso della s tonda costante a fine parola. Alcune mani tradiscono una parentela con il tipo di transizione che abbiamo visto a Pisa. Molte sembrano sfociare nel tipo middle geometrical fiorentino. Tutte in qualche modo, e queste ultime in maniera più dichiarata, mostrano una notevole elaborazione delle lettere, specialmente, come ha notato Toesca, nelle rubriche, che è in parte una peculiarità senese ma anche un segno dell’incipiente goticizzazione. Le più evolute di queste scritture sono normali alla fine del terzo quarto del secolo, o anche qualche anno dopo.
Le iniziali sono opera di due diversi miniatori, uno dei quali mostra le particolarità senesi in maniera più enfatizzata dell’altro. Anche le illustrazioni sono di due mani differenti, una delle quali più senese dell’altra. Dal momento che le figure più agitate occorrono nelle iniziali più agitate, è quasi certo che i miniatori erano anche gli illustratori. Le iniziali di disegno più fermo e solido sono strettamente vicine, specialmente nei motivi di riempimento delle barre, a certe iniziali pisane già incontrate. Alcune di esse contengono fogliame gallicizzante negli interstizi del tipo precedentemnete incontrato a Firenze e a Pisa. Le iniziali più tipicamente senesi mostrano un repertorio variato di disegni late geometrical, ma in una versione inconsuetamente lineare e agitata. Da notare che tutte contengono foglie degli interstizi del tipo originario dell’Italia centrale, poco gallicizzanti. Con le peculiarità senesi ben a mente, non ci si può sorprendere di trovare le grandi iniziali nella Bibbia, come la I della Genesi, che esemplifica nel modo più forte le tendenze barocche del periodo, precedentemente individuate a Roma e in altri centri.
La Bibbia può meglio essere datata alla fine del terzo quarto del secolo, ma probabilmente anche pochi anni oltre.
  

Lo stile 'late geometrical' (9g)

(Garrison, Studies III, pp. 42-46)

Come è già stato argomentato in questi Studi, il Casanatense 716 è, per motivi tutti da scoprire, la copia del precedente e deve essere quindi un po’ più recente. Come il Casanatense 718 deve essere considerato, per gli indizi agiologici, accanto al suo volume compagno, in questo caso il Casanatense 717, anche se quest’ultimo non è di interesse diretto per le sue iniziali, che sono quasi certamente fiorentine. In realtà è il cod. 717 che costituisce il primo volume, e il cod. 716 il secondo, poiché il primo va dalla prima domenica di Avvento al sabato santo, il secondo dalla domenica di Pasqua alla quinta domenica prima di Natale e contiene anche un Proprio e un Comune dei Santi.
Questo Omeliario in due volumi quindi contiene indizi certi di Pistoia, s. Felice il 25 agosto nel Santorale nel cod. 716, e la speciale indicazione di data pistoiese, s. Rufino all’11 febbraio nel Temporale nel cod. 717. Contiene inoltre sermoni per tre santi dell’ambiente pistoiese, s. Proclo il 1° giugno, s. Mustiola il 3 luglio nel Santorale del cod. 716, e s. Zenone l’8 dicembre nel Temporale del cod. 717. Come nel suo prototipo, omette s. Martino sia nella festa principale dell’11  novembre sia nella traslazione il 4 luglio.
Da notare che sono celebrati tutti i santi più frequentemente menzionati nei documenti lungo il XII secolo come titolari della Cattedrale, s. Zenone, s. Rufino, s. Felice e s. Proclo. Dal momento che sono citati come gruppo e inclusi nelle festività maggiori, vi sono pochi dubbi che l’Omeliario sia stato prodotto per la Cattedrale.
Il cod. 716, come è stato detto, mostra iniziali geometriche, a barra piena e calligrafiche, tutti e tre i tipi mostrano strette relazioni con gli stessi tipi in uno o nell’altro codice del gruppo. Un notevole aumento nel numero delle iniziali calligrafiche indica una datazione relativamente tarda, e nel loro considerevole aumento di linearità e di semplicità le iniziali geometriche la confermano. Queste ultime sono per di più eseguite più sommariamente di quelle della Bibbia o dell’Omeliario della Roncioniana, come se l’artista nel riprodurle fosse scivolato nell’inaccuratezza. A questo riguardo sono più vicine a quelle del Casanatense 718 che ad altre. Non desta sorpresa trovare un motivo di riempimento delle barre non descritto, osservato prima nel Casanatense 718 e abbastanza frequentemente riportato qui.
Tuttavia, nel disegno e nei dettagli queste iniziali sono vicine alle iniziali della Bibbia e dell’altro Omeliario. La loro struttura generale è simile, e la stessa forma lunga e arrotondata degli scomparti della terminazione superiore verso la barra, qui riferita come il ‘collo’, è presente come un marchio distintivo. Le rosette di punti, la chiave greca in una D non riprodotta, e il motivo a zigzag nei due scomparti inferiori della I del f. 168, sono già stati incontrati, mentre il motivo a doppia croce nello scomparto superiore della stessa I, una versione molto rozza e semplificata della rosetta fiorentina, si trova anch’esso nella Bibbia.
Questo Omeliario è stato precedentemente datato nel pieno terzo quarto, verso la fine, ma sembra probabile che sia stato prodotto dopo il culmine del quarto di secolo.
Prodotto nel terzo quarto del secolo, e probabilmente qualche anno dopo il Casanatense 716, è il terzo Omeliario, Pistoia, Arch. Cap. cod. 142. Il suo programma di celebrazioni è considerevolmente più pieno di quello degli altri Omeliari. Tuttavia, ad attestare il fatto che sia stato prodotto per l’uso pistoiese, e più probabilmente per la Cattedrale, contiene tutti gli stessi indizi locali: s. Felice il 25 agosto, s. Rufino l’11 febbraio, s. Proclo il 1° giugno, s. Mustiola il 3 luglio e s. Zenone l’8 dicembre. Contiene in aggiunta altri due indizi: un sermone per s. Martino l’11 novembre, che era stato omesso dagli altri due Omeliari, e il Proprio dei santi che inizia inconsuetamente con l’omelia per s. Zenone, che riceve una sontuosa decorazione nella forma di grandi capitali rosse. Infine contiene uno degli indizi di toscanità, i quali erano assenti negli altri due Omeliari, s. Regolo il 1° settembre. Gran parte delle iniziali sono semplici iniziali calligrafiche rosse. Ma ce ne sono dieci di geometriche, che mostrano tutti i segni distintivi dello stile stretto pistoiese: i filetti larghi, gli scomparti stretti, la parziale soppressione della divisione in scomparti, il motivo di riempimento relativamente semplice e longitudinale, tra cui si notano il motivo a ovuli e a zigzag, le terminazioni inferiori piene pesantemente ombreggiate di verde, le legature trilobate. Anche alcuni dei fogliami degli interstizi sono simili agli altri codici, anche se alcuni sono meno caratteristici e più simili al fogliame late geometrical di altri centri. Nella grande F che compare al f. 1, intrecci early geometrical, rudimentali e inconsuetamente pallidi, sono ancora usati qua e là come riempimenti delle barre, e ricorrono in un’altra F del f. 87. Ma altrove i motivi come anche la tecnica sono late geometrical.
Quattro manoscritti meno importanti possono essere uniti ai codici maggiori:
1. Pistoia, Arch. Capitolare cod. 161, un Omeliario incompleto della metà del secolo, in cattive condizioni e slegato, con alcuni fogli tagliati, che potrebbe essere oggi una congerie di frammenti dal momento che è evidente una notevole variazione delle mani, alcune leggere e sottili, altre pesanti e scure. Gran parte delle iniziali del codice sono calligrafiche rosse molto semplici, ma una D al f. 1v assieme ad altre simili, come anche un frammento di una grande F in un foglio per lo più tagliato, sono geometriche pistoiesi, anche se con un accenno di fiorentinismo maggiore del solito. Vi sono diverse iniziali pistoiesi a barra piena, con filetti spessi gialli disegnati in minio e il particolare fogliame pesantemente ombreggiato che si ritrovano negli altri manoscritti del gruppo. La P del f. 8 è evidente per la sua aderenza al tipo.
2. Pistoia, Arch. Capitolare, cod. 160, un Antico Testamento atlantico frammentario, anch’esso mal conservato, tagliato e slegato, del terzo quarto del secolo. Vergato nella tipica versione pistoiese della riforma, le scritture appaiono non molto pesanti, e se non fosse per lo stile delle iniziali il codice potrebbe essere un po’ più antico. Le iniziali geometriche sono del tipo stretto pistoiese, ma come quelle del codice precedente hanno un accenno di fiorentinismo. Sono un po’ più brillanti del solito nei colori e hanno un fogliame un po’ più leggero, meno massoso, più fiorentineggiante. A questo riguardo, assomigliano più strettamente alle iniziali dell’Omeliario Arch. Capit. 142. Vi sono anche diverse iniziali pistoiesi a barra piena.
3. Firenze, Laurenziana, S. Croce Plut. 33, sin. 4, un Omeliario del pieno terzo quarto del secolo, vergato in scritture di piccolo modulo della riforma, in alcune delle quali la sottigliezza pistoiese sembra essere stata portata ad una certa angolarità. C’è solo un’iniziale geometrica stretta pistoiese, la P del f. 131, ma quelle a barra piena pistoiesi sono numerose, e mostrano dettagli caratteristici come il fogliame degli interstizi distintivo e i motivi base, come anche le legature a trifoglio. Verso la fine ci sono solo iniziali calligrafiche rosse, non molto elaborate.
4. Firenze, Laurenziana, S. Croce Plut. 40 sin. 1, un altro Omeliario del tardo terzo quarto del secolo, vergato in varie scritture della riforma, alcune più avanzate di altre, solo alcune delle quali sembrano piestoiesi. Le iniziali sono late geometrical, con elementi early e di transizione, tra questi ultimi il riempimento delle barre a nodo allungato. Le iniziali sono fiorentineggianti come le altre del gruppo, ma non si può sbagliare, in molte di esse, nel riconoscere il carattere pistoiese del fogliame pieno, ombreggiato di verde, i motivi base, gli scomparti del ‘collo’ arrotondati, il motivo geometrico attorcigliato di riempimento delle barre, gli intrecci delle terminazioni. In più vi sono numerose iniziali tipiche pistoiesi a barra piena.
ADDENDUM
Dopo che questo studio è stato preparato per la stampa, ho riconosciuto un altro codice come certamente pistoiese nelle Institutiones ecclesiasticae, seguite da una serie di Encicliche, della Collezione Earl of Leichester alla Holkham Hall, cod. 211. Il codice è vergato in una carolina sottile tipicamente pistoiese. La decorazione, limitata alle Institutiones - le Encicliche hanno solo capitali in minio -, consiste in cornici early geometrical in versione tarda attorno ai titoli dei primi libri e numerose iniziali piccole a barra piena tipicamente pistoiesi, costruite solo con filetti spessi gialli, e con fogliame degli interstizi del tipo altamente lavorato che si trovano negli altri manoscritti pistoiesi. Le Institutiones possono essere datate senza esitazione al primo quarto del XII secolo, e possono essere meglio raggruppate con i codd. 96 e 135 dell’Archivio Capitolare di Pistoia. Un importante supporto all’attribuzione è sostenuto da una nota del XV secolo che attesta la presenza del manoscritto in quest’epoca nella sacrestia di S. Zeno a Pistoia.