giovedì 30 giugno 2011

Lo stile 'late geometrical' (9c)

(Garrison, Studies III, pp. 36-38)

Il secondo gruppo, che comprende tutti gli altri manoscritti, inclusi i maggiori, attesta l’avvento in città degli stili geometrico centro italiano a colore pieno e a barra piena, che dominavano dal 1125, e l’emergere, un po’ più tardi, di versioni distintive locali. Questi stili conquistarono Pistoia molto prima di Lucca, dove non sostituirono i locali stili gallicizzanti fino a poco prima della metà del secolo. La rinuncia anticipata di Pistoia è dovuta certamente a diversi fattori: i due più importanti sono evidenti: primo, gli stili antichi locali dipendenti largamente dagli esempi lucchesi, non divennero mai così fermamente radicati come gli stili lucchesi a Lucca. Inoltre non si svilupparono mai in maniera così uniforme e perfetta; la multiformità degli stili delle iniziali nei codici elencati sopra, le loro disparate fonti di ispirazione, è una loro caratteristica notevole. Secondariamente, nessuno dei primi scriptoria pistoiesi sembra aver avuto a disposizione tanti talenti per la decorazione dei manoscritti quanti erano invece disponibili a Lucca. Che ci fosse, infatti, una reale scarsità di miniatori è suggerito dal numero inusuale di codici del periodo ancora custoditi nell’Archivio Capitolare che mostrano spazi bianchi per iniziali che non furono mai eseguite. Sintomatico della stessa situazione è senza dubbio anche il cambiamento frequente di miniatori che si può osservare nei codici pistoiesi. In queste circostanze, è probabile che miniatori stranieri formati nell’Italia centrale, dove i nuovi stili erano già sorti, fossero stati chiamati presto, o che miniatori pistoiesi fossero andati altrove per formarsi.
Questo secondo grande gruppo deve a sua volta essere diviso in due sottogruppi, il primo comprendente i codici in cui domina lo stile delle iniziali standard centro italiane, il secondo in cui si osservano versioni locali, largamente late geometrical.
Il primo sottogruppo comprende sei codici certamente pistoiesi e due non certamente pistoiesi, tutti prodotti nella prima metà del secolo, in cui gli stili geometrici dell’Italia centrale di altri centri, sia early geometrical che di transizione, come anche lo stile a barra piena, appaiono in confronto non modificati. Meritano una breve considerazione qui: il più importante di essi, come verrà detto dopo, verrà trattato nel luogo cronologico appropriato nel Supplemento a questo studio.
I manoscritti che presentano iniziali early geometrical - e anche iniziali a barra piena di vario tipo - sono: 1) Pistoia, Arch. Capitolare, cod. 109, Opera varia di s. Isidoro; 2) Pistoia, Arch. Capitolare, cod. 156, un Antico Testamento frammentario, entrambi del primo quarto del secolo; 3) Pistoia, Arch. Capitolare, cod. 116, un Commentario al Pentateuco di Bruno di Segni, del secondo quarto. Da classificare come codici di transizione - con anche iniziali a barra piena - sono: 1) Prato, Roncioniana, Q.VIII.1, una Bibbia frammentaria, dell’inizio del secondo quarto; 2) Pistoia, Arch. Capitolare, cod. 157, un Commentario ai Salmi di s. Agostino, del tardo secondo quarto; 3) Pistoia, Arch. Capitolare, cod. 154, un Nuovo Testamento frammentario, della metà del secolo.
Gran parte delle iniziali early geometrical in questi codici sembra essere stata ispirata dai modelli umbro-romani, quelle di transizione dai modelli fiorentini. Caratteristiche sono le aberrazioni dovute all’imitazione degli stili centro italiani, aberrazioni che sebbene non abbastanza decisive per creare uno stile pistoiese autonomo, tuttavia servono a distinguere queste iniziali come pistoiesi. Anche più caratteristica è la inconscia mescolanza di stili in tutti i codici. In Pistoia 109 alcune delle prime iniziali disegnate si attardano con le nuove iniziali a colore pieno. Nel 156, vi sono iniziali early geometrical, in gran parte considerevolmente cambiate, a barra vuota di speciale disegno, a barra piena a perfino una iniziale di estrazione pre-carolingia. Prato Q.VIII.1, il più raffinato, presenta iniziali early geometrical di una qualche purezza, iniziali di transizione vicine a quelle fiorentine ma con dettagli riconoscibili come locali che le relaziona allo sviluppo pistoiese, così come anche le iniziali a barra piena rosse e gialle e verso la fine diverse anomalie. Pistoia 157 è anche più vicino allo sviluppo successivo, mostra iniziali di transizione fiorentine e anche late geometrical, motivi combinati con dettagli pistoiesi, e due iniziali a barra piena tipicamente pistoiesi. Pistoia 154 presenta diverse versioni originali del tipo di transizione, largamente ispirato alla decorazione fiorentina del periodo, e anche iniziali a barra piena tipicamente pistoiesi.
Il secondo sottogruppo comprende tutto il resto dei manoscritti: si tratta del gruppo che ci riguarda di più, perché in esso si può osservare l’emergere di una versione pistoiese più distintiva e importante degli stili geometrici centro italiani. Da considerare assieme a questi per diverse ragioni che diverranno palesi, come è stato detto, è il secondo volume del Passionario Casanatense cod. 719. Il sottogruppo comprende in tutto 16 codici, i dieci manoscritti maggiori elencati sopra e sei manoscritti minori che saranno aggiunti. Sono raggruppati insieme da tratti comuni in un aspetto o nell’altro e non possono non essere pistoiesi: come si è sviluppata questa certezza verrà detto qui di seguito.
Sei codici del sottogruppo si trovano ancora a Pistoia e a Prato: ed è ora certo, come è stato detto prcedentemente, dalla nota manoscritta all’inizio del Casanatense 719 che sei altri codici, Casanatense 716, 717, 718, 719, 720 e 721 si trovavano a Pistoia essendo stati acquistati là da papa Benedetto XIV nel 1744. Questo è un primo passo per legare i manoscritti alla città. L’agiologia nel Casanatense 716, 717, 718 e 719, nel Sacramentario Bodleiano, nel Roncioniano e negli Omeliari dell’Archivio Capitolare può affermare che i sette codici sono stati prodotti per l’uso pistoiese - i primi due e gli ultimi due probabilmente per la cattedrale, il quinto certamente per questa -, che la destinazione umbra precedentemente suggerita in questi Studies per il Casanatense 716 era erronea, come è stato spiegato, e che gli elementi fortemente lucchesi identificati precedentemente nell’agiologia del Passionario Casanatense codd. 718-719, possono essere ritenuti come influenze lucchesi particolarmente forti in una chiesa o in un monastero pistoiese, forse dovute alla presenza di monaci lucchesi, piuttosto che indicazioni di una destinazione lucchese.
Inoltre, dalle caratteristiche comuni della scrittura di quasi tutti i 16 codici, un sentore di un nuovo tipo inizia ad emergere, che potrebbe quasi certamente essere assunto come pistoiese. Notevoli interrelazioni tra le iniziali geometriche, a barra piena o calligrafiche sono da osservare in tutti i 16 codici, tranne due. Dalle caratteristiche comuni a quelle geometriche, un tipo speciale può essere descritto che è certamente accettabile come pistoiese. Inoltre, le miniature in tutti i codici illustrati eccetto il Casanatense 717, che potrebbe essere opera di un fiorentino, il Casanatense 716, 720-21, Roncioniana Q.VIII.2, e Paris lat. 1845, sono della stessa mano e possono come le iniziali che le accompagnano essere accettate come pistoiesi. È possibile che quelle del Casanatense 717 siano anch’esse pistoiesi, perché seppur differiscono dalle altre miniature pistoiesi, differiscono anche da quelle lucchesi, e anche se legate a quelle fiorentine differiscono sufficientemente da queste da permettere di ritenere che non siano fiorentine ma pistoiesi.
A contribuire all’accertamento è il fatto che 12 dei 16 manoscritti sono attualmente nella regione pistoiese, o sono noti per provenire da lì: è infatti oltre l’arco delle possibilità che un tal gruppo, che presenta così tante caratteristiche omogenee nell’agiologia, nelle scritture, nelle iniziali e nelle illustrazioni, sia stato portato da un altro luogo.
Le scritture di questo gruppo notevole possono essere viste qui brevemente e non menzionate nuovamente; questo semplificherà l’esposizione dei singoli manoscritti che seguiranno. In 15 dei 16 codici si trova lo stesso tipo generale. Questo tipo è fondamentalmente analogo al tipo middle geometrical di Firenze nel secondo e terzo quarto del secolo, presentando una simile rotondità nella forma delle lettere - probabilmente ascrivibile alle reminiscenze caroline - e una simile enfasi nei filetti. Ma molte di essere presentano allo stesso tempo una certa sottigliezza nell’aspetto, certamente da attribuire ad un taglio speciale della penna e a una particolare variazione della pressione, che ricorda la scrittura lucchese del primo e secondo quarto, e quasi certamente ne presagisce la conoscenza.
In queste somiglianze complessive, tuttavia, si può distinguere una stabile progressione. Il primo codice maggiore, Casanatense 719, del secondo quarto del secolo, che appartiene per le iniziali al primo gruppo ma per la scrittura al secondo, presenta mani che sono più leggere e più inclinate, meno regolari e meno stabili, e i primi tratti di r, s e f scendono sotto al rigo e la s diritta è largamente utilizzata. Sono particolarmente sottili e testimoniano abbastazna bene di quella che è ipotizzata qui come influenza lucchese. Qualcosa di simile si vede nel Sacramentario Bodleiano, così come in alcune delle mani nella prima Bibbia Casanatense. Anche se la scrittura in questi due codici si situa in qualche modo a parte rispetto al resto, mostrano tuttavia somiglianze nei dettagli delle forme, e sono particolarmente utili a legare questi due codici al resto.
Nell’ultimo codice, il Commentario parigino, probabilmente dell’ultimo quarto del secolo, la sottigliezza è scomparsa per lasciar posto ad una nuova pesantezza ben definita. In tutti i codici intermedi, Casanatense 718, 716-717, il Roncioniano e gli Omeliario dell’Archivio Capitolare, e i manoscritti minori come anche nella gran parte delle scritture della Bibbia Casanatense 720-721, il tipo si vede in forme più caratterizzate. Diverse mani ricorrono in questo codici, copisti identici hanno dominato nelle scritture. Se questa scrittura sia da considerare tipica della regione, o se sia semplicemente il segno di un singolo scriptorium, o di un gruppo di copisti, non è al presente certo. Il fatto che la scrittura di Corbolinus, un copista pistoiese che copiò una grande Bibbia nella regione fiorentina, sottoscrivendola e datandola al 1140, ora alla Laurenziana come Conv. Soppr. 630, sia molto simile a quella del Sacramentario Bodleiano, potrebbe essere ritenuto in favore della prima alternativa. Ma poiché Corbolinus potrebbe essersi formato nello stesso scriptorium dei copisti degli altri codici menzionati, il fatto non aiuta in realtà a districare la questione.

mercoledì 29 giugno 2011

Lo stile 'late geometrical' (9b)

(Garrison, Studies III, pp. 35-36)

Accanto a questi dieci codici più significativi, possono essere inoltre raggruppati non meno di 18 altri, che sebbene inferiori nella decorazione e privi di riferimenti agiologici si riallacciano ai manoscritti prodotti nella regione pistoiese approfondendone la conoscenza. Saranno di seguito introdotti brevemente. I primi che contengono iniziali geometriche saranno trattati più estesamente nel luogo cronologicamente adeguato nel Supplemento a questo studio. Tre manoscritti, seppur mostrano punti di contatto con gli altri, sono meno certamente pistoiesi; saranno mezionati in nota. In tutto sono coinvolti 31 codici.
I codici si possono suddividere in due gruppi storici, il primo decorato con iniziali pre-geometriche e pre-barra piena, il secondo con iniziali geometriche e a barra piena.
Il primo gruppo gruppo è composto da sette membri, tra cui è notevole il secondo volume del Passionario Casanatense, cod. 719. Attesta l’esistenza di scriptoria a Pistoia alla fine del secolo XI e nel primo quarto del XII, e un’evoluzione analoga a quella di Lucca, cioè di iniziali distintive locali che hanno poco a nulla a che vedere con le coeve iniziali geometriche centro italiane o a barra piena. Le prime iniziali pistoiesi, come le lucchesi, sono disegnate e per la maggior parte gallicizzanti. Ma a differenza delle lucchesi, incorporano caratteristiche prettamente ottonizzanti, carolinge e anche pre-carolinge. Sebbene siano state realizzate sotto la forte influenza lucchese, sono tuttavia abbastanza diverse da avvalorare l’ipotesi che siano state prodotte da un pistoiese.
Il primo gruppo si distingue anche per le scritture, che sono tutte varianti della carolina. Molte di esse, come le iniziali, mostrano influenze lucchesi, specialmente in una certa sottigliezza del ductus. Va notato che vi sono nell’Archivio Capitolare di Pistoia numerosi altri manoscritti del periodo che appartengono a questo primo gruppo riguardo alla scrittura, ma poiché sono totalmente privi di decorazione non sono stati considerati in questo studio. Sembra quindi essere disponibile una grande quantità di materiale per permettere, un giorno, l’individuaizone di tipi di scrittura pistoiesi.
Il Casanatense 719 necessita di particolare attenzione. Presenta scrittura e iniziali fortemente lucchesi, e anche certe indicazioni lucchesi nell’agiologia. Negli Studies si era pensato che fosse stato prodotto a Lucca e successivamente portato a Pistoia. Ma le differenze tra le sue iniziali e le iniziali lucchesi sono evidenti, e la scoperta di questo nuovo gruppo a Pistoia, con le cui iniziali presenta affinità anche maggiori rispetto a quelle lucchesi, avvalora l’ipotesi che sia stato prodotto a Pistoia sotto influenze lucchesi eccezionalmente forti. La scrittura tuttavia non è carolina come le scritture degli altri manoscritti del gruppo, ma della riforma: si tratta di un esemplare tardo del gruppo. Si situa infatti a cavallo dei due gruppi: nelle iniziali appartiene al primo, con il quale abbiamo qui a che fare, mentre nella scrittura appartiene al secondo, che tratteremo più avanti. Poiché è così importante per l’agiologia lucchese, deve essere incluso tra i codici maggiori della regione e sarà trattato tra questi.
I sei manoscritti minori di questo primo gruppo possono essere brevemente descritti e poi lasciati da parte, poiché le loro iniziali non sono geometriche e poiché non contengono elementi agiologici, e non sono quindi di interesse per questo studio.
1. Pistoia, Arch. Capitolare, cod. 140, Burcardo del tardo XI secolo, vergato in carolina di piccolo modulo e squadrata, alcune mani presentano una considerevole sottigliezza lucchese, con rubriche in arancio chiaro tipico dell’XI secolo, e, a partire dal libro II, iniziali finemente disegnate di aspetto molto lucchese, con fogliame accuratamente disegnato e fluente, accanto ad altro di ambiente ottoniano, tutte frequentemente decorate con teste animali.
2. Pistoia, Arch. Capitolare, cod. 125, un altro Burcardo, certamente degli inizi del XII secolo, vergato in carolina sottile e similmente squadrata, con rubriche in minio leggermente più rosso, e con iniziali in vari stili disegnati, alcune legate al codice precedente, altre con caratteristiche sia ottoniane che carolinge, alcune di queste di estrazione inglese, come anche un arbor consaguinitatis disegnato a piena pagina, abbastanza rozzo ma con fogliame gallicizzante negli spazi sotto le spalle.
3. Prato, Roncioniana, Q.VIII.4, un altro Burchardo, del pieno primo quarto del secolo, scritto in una carolina più perfezionata, dello stesso ambiente delle altre, ma con rubriche in minio rosso mattone tipico del XII secolo e con iniziali particolarmente raffinate di vari stili disegnati, più o meno in relazione a quelle dei codici precedenti, e con un altro arbor consaguinitatis simile a quello di Pistoia 125, ma molto più abilmente tracciato.
4. Pistoia, Arch. Capitolare, cod. 158, Commentario al Vangelo di Matteo e Giovanni di s. Agostino, del primo quarto del secolo, vergato in scritture caroline più o meno perfezionate, e con iniziali disegnate, molte delle quali legate al Casanatense 719, ma con nella parte II molti spazi lasciati bianchi.
5. Pistoia, Arch. Capitolare, cod. 115, una Miscellanea, in cui le sezioni principali sono la Disciplina Cleri (ff. 1-10v), una Literarum formatarum commorantibus (ff. 15-69v), e un Martirologio di Ado (ff. 71-153v), tutti approssimativamente dello stesso periodo, cioè del primo quarto del XII secolo, vergato in piccole e regolari caroline, alcune squadrate, alcune sottili, alcune anche angolose, e con iniziali disegnate in vari stili, alcune con elementi pre-carolingi, alcune ottonizzanti, ma molte gallicizzanti e legate a quelle del Casanatense 719.
6. Prato, Roncioniana, Q.VIII.3, frammenti di Omeliario e Passionario, dell’inizio del secondo quarto del secolo, vergato in scritture incipienti della riforma, alcune delle quali abbastanza sottili, e con due iniziali di estrazione pre-carolingia, una a barra vuota e due a barra piena.

martedì 28 giugno 2011

Lo stile 'late geometrical' (9a)

8. La regione pistoiese
(Garrison, Studies III, pp. 33-35)

Osservazioni simili a quelle già fatte per il secondo centro toscano, Volterra, possono essere applicate ad un altro centro, Pistoia.
Pistoia come Volterra era politicamente indipendente nel XII secolo ed era la sede di un vescovo di una certa importanza. Il Capitolo della Cattedrale, con s. Zenone come patrono, era organizzato sotto una regola canonica. Divenne particolarmente ricco e potente già dall’XI secolo, e mantenne questa posizione anche in seguito, anche ai tempi in cui il vescovado pistoiese fu ridotto in povertà; continuò a godere del supporto del popolo anche quando il vescovo giunse allo sfavore popolare. Una scuola capitolare esisteva già, anche se sembra non essere diventata di particolare importanza fino al XIII secolo. Numerosi insediamenti monastici fiorirono naturalmente nella città così come nel territorio circostante. Tra i più potenti della città c’era S. Bartolomeo, e dopo l’allargamento del perimetro delle mura, S. Michele Arcangelo in Forcole, sottoposto ai Vallombrosani dal 1084. Nella regione nord-occidentale, nelle colline, c’era S. Salvatore in Fonte Taona, anch’esso vallombrosano dal 1040. Questi sono i monasteri che con ogni probabilità hanno mantenuto gli scriptoria; questo è certo anche se mancano specifiche informazioni.
Un fattore notevole nella vita pistoiese fu il dominio dei vallombrosani. Non solo erano in possesso dei due monasteri più influenti ora menzionati, ma fornirono alla diocesi una successione di vescovi. Pietro, che tenne il seggio dal 1087 al 1104-7, era stato monaco vallombrosano. Ildebrando, che lo tenne dal 1104-7 al 1133, era stato un monaco dell’Ordine e abate di S. Michele in Forcole. Più attivo per quello che ci riguarda immediatamente fu Atto, in seguito beatificato, che tenne il seggio dal 1133 al 1153, precisamente al tempo in cui, secondo quello che risulta attualmente, la produzione dei manoscritti nella regione raggiunse proporzioni notevoli. Fu monaco a Vallombrosa e divenne ottavo abate generale dell’Ordine. Fu seguito, è vero, da due non vallombrosiani, Traccia o Traziano (1153-67) favorito dall’imperatore Federico, e Rainaldo (1167-89); ma nel 1189 un abate vallombrosiano, Buono, ascese di nuovo al trono espiscopale.
Durante il XII secolo, la città crebbe in ricchezza e potenza. Già dal 1125 entrarono in vigore leggi sontuose. Era il periodo dell’ascesa del forte governo comunale, a spese sia del vescovo che del signore feudale. La lotta tra le parti si fece particolarmente violenta sotto il vescovo Atto, che si attivò per trovare espedienti inclusa una generale riforma della vita religiosa della diocesi, per arrestare il flusso delle confische e dell’empietà. Anche se alla fine i suoi sforzi si rivelarono vani, è probabile che provocarono una sorta di temporanea fioritura. Nel 1134 ricevette Innocenzo II con grande sfarzo. Nel 1140 ottenne da Compostela alcune reliquie di S. Giacomo, patrono della città, fece erigere una sontuosa cappella per contenerle e la dedicò nel 1145. Seguirono la ricostruzione delle chiese e dei monasteri: la cattedrale, S. Bartolomeo (1159), S. Giovanni Forcivitas e molte altre. Gli scultori furono attivi per la loro decorazione - testimoni sono gli architravi del portale di S. Andrea (1166), S. Bartolomeo (1167) e S. Giovanni (poco più tardi), così come i rivestimenti marmorei di S. Andrea e di S. Giovanni.
Allo stesso tempo Pistoia, come Volterra, era in contatto con le potenti vicinanze, e per alcuni aspetti culturali e religiosi era dominata da questi, come Lucca, Firenze e in maniera minore Pisa, con ciascuno dei quali era alternativamente in guerra o alleata. Da un lato il vescovado mantenne, a dispetto degli sporadici conflitti politici, relazioni particolarmente strette con il vescovado lucchese. Lo stile di datazione lucchese fu utilizzato in molti documenti pistoiesi del periodo e solo la moneta lucchese era in corso a Pistoia. Dall’altra parte, l’importanza dei vallombrosani nella regione preparò il terreno, anche riguardo alle vicende politiche, all’avvento dell’influenza fiorentina.
Così è probabile che sotto queste circostanze l’agiologia pistoiese come anche la scrittura, le iniziali e le illustrazioni nei manoscritti prodotti nella regione, fosse sotto l’influenza lucchese e fiorentina, e forse anche pisana. Questo è provato: santi lucchesi e fiorentini compaiono entrambi nei manoscritti agiografici della regione, e in due casi santi pisani. La scrittura pistoiese è legata sia a quella fiorentina che a quella lucchese. Le iniziali in molti codici pistoiesi mostrano caratteristiche sia lucchesi che fiorentine, mentre alcune sono praticamente indistinguibili dalle iniziali lucchesi, altre da quelle fiorentine. Il principale illustratore pistoiese ora conosciuto, qui chiamato il Maestro della prima Bibbia casanatense, risente delle influenze lucchesi.
Una caratterizzazione positiva dei manoscritti pistoiesi è stato illustrato un po’ alla volta in questi Studies, perché la loro conoscenza è stata acquisita incidentalmente accanto alla conoscenza delle maggiori scuola dell’Italia centrale. Ora tuttavia un maggiore materiale corroborativo è stato raccolto, tanto da permettere una visione comprensiva in relazione agli stili regionali delle iniziali. Particolarmente illuminante è stata la scoperta di un gran numero di manoscritti del tardo XI secolo o del XII, che contengono iniziali, nell’Archivio Capitolare di Pistoia, alcuni dei quali portano indizi di essere stati lì dall’inizio, e alcuni di essi sono riconoscibili negli inventari del XIII e del XIV secolo.
Si conosce abbastanza oggi dei manoscritti di Pistoia, sull’origine pistoiese di altri, e sull’agiologia pistoiese, sulla scrittura, le iniziali e le illustrazioni, per avanzare l’ipotesi e la descrizione di una scuola locale.
I codici precedentemente considerati in questi Studies che sono dimostrati essere pistoiesi sono:
1 & 2. Roma, Casanatense, codd. 718-719, un Passionario atlantico in due volumi miniato ma non illustrato, qui datato al secondo quarto del XII secolo, il primo volume leggermente posteriore al secondo.
3 & 4. Roma, Casanatense, codd. 720-721, una Bibbia atlantica illustrata in due volumi, qui datata al tardo secondo quarto.
5. Prato, Roncioniana, Q.VIII.2, un Omeliario atlantico illustrato, qui datato all’inizio del terzo quarto.
6. Roma, Casanatense, cod. 716, seconda parte di un Omeliario atlantico illustrato, copia del precedente, qui datato al terzo quarto.
7. Roma, Casanatense, cod. 717, la prima parte, apparentemente, del precedente Omeliario, con iniziali e illustrazioni di stile diverso, qui datato all’inizio del terzo quarto.         
8. Paris, Nationale, lat. 1845, Commentario sul Vangelo di Matteo di s. Girolamo, con una illustrazione, qui datato all’ultimo quarto.
Questo gruppo è di primaria importanza per ciò che segue, perché include non solo tutti i codici pistoiesi ora conosciuti che sono illustrati, ma anche molti codici importanti per stabilire l’agiologia pistoiese, e quindi per legare il gruppo a Pistoia. A questo possono essere aggiunti due altri codici che sono di uguale importanza per quanto riguarda l’agiologia della città, e che meritano quindi un trattamento analogo:
9. Oxford, Bodleian, Canon. lit. 345, un piccolo Sacramentario pistoiese miniato ma non illustrato, con un Calendario pistoiese, databile al secondo quarto.
10. Pistoia, Arch. capitolare cod. 142, un Omeliario miniato ma non illustrato, con indicazioni pistoiesi nel programma dei sermoni, dell’inizio del terzo quarto.

lunedì 27 giugno 2011

Lo stile 'late geometrical' (8f)

(Garrison, Studies II, pp. 224-227)

Un Messale della Biblioteca Comunale di Palermo, cod. 2Qq.G2, è indicato nella lista dell’ultimo catalogo della Biblioteca (1934) come siciliano. Ma dal 1884 Boglino, che stava pubblicando il manoscritto per la prima volta, lo ha attribuito al monastero di S. Ponziano a Lucca e lo ha datato tra 1095 e 1160. Sebbene tutti gli argomenti di Boglino, specialmente quelli basati sull’agiologia del codice, non siano così solidamente fondati, e il suo terminus ante quem del 1160 non così sicuro come credeva, aveva sostanzialmente ragione.  
Boglino ha riconosciuto che il Messale era monastico e benedettino. Poiché la messa di s. Ponziano e i suoi compagni, ss. Peregrino e Vincenzo (e Genesio) era la sola messa minore cui è data una particolare importanza da una iniziale miniata - in tutto ci sono solo sei iniziali e le altre cinque ornano le sezioni maggiori della liturgia - ha ritenuto che il Messale doveva essere stato prodotto per un monastero dedicato a s. Ponziano. Poiché trovò solo il monastero lucchese così dedicato, ha concluso che il Messale era stato prodotto per S. Ponziano a Lucca.
Tuttavia questa circostanza da sola non potrebbe stabilire la provenienza, perché potrebbe egualmente indicare il monastero di S. Ponziano a Spoleto. Tuttavia altre messe suggeriscono che il Messale sia stato prodotto per Lucca, così che la messa per s. Ponziano può dopotutto assumere il ruolo corretto di provare che il manoscritto è stato confezionato per il monastero di S. Ponziano in questa città.
Nessuno dei santi venerati solo a Lucca sono celebrati, ma c’è almeno un segno certo della città nella celebrazione di s. Ilario il 3 novembre. La messa di s. Regolo in una posizione in una sequenza che indica la celebrazione del santo martire africano il 1° settembre è la sola indicazione toscana presente, e le altre tre, s. Torpete, s. Cerbone e s. Miniato sono state omesse. S. Regolo da solo non è sufficiente a stabilire la destinazione toscana, ma in ragione delle altre indicazioni lucchesi la sua presenza assume un significato maggiore, perché era un patrono minore della cattedrale lucchese, dove è stato sepolto il suo corpo. C’è inoltre una serie debole di santi lucchesi: s. Biagio, ss. Alessandro Evenzio e Teodulo, s. Donato, s. Romano, s. Ponziano e compagni, s. Martino, s. Frediano e s. Prospero. Infine non vi sono forti indicazioni di altri centri. Sul fatto che il Messale sia stato prodotto per S. Ponziano a Lucca ci sono pochi dubbi.
Né la scrittura né le inziali sono simili a quelle caratteristiche che in altri manoscritti sono più o meno certamente attribuibili a Lucca. Le lettere sono più strette, più angolose, e più compatte di quelle comuni in questo periodo. Le iniziali sono disegnate più meticolosamente, più elaborate di altre prodotte così tardi nel secolo. Tuttavia, allo stadio attuale - incompleto - delle conoscenze sui manoscritti lucchesi, nessuna circostanza concorre contro la produzione lucchese, anche perché la scrittura e iniziali non somigliano a quelle di altri centri.
Riguardo alla datazione, il limite inferiore di Boglino, il 1095, basato sull’inclusione dell’ufficio della Madonna nel prefazio introdotto quell’anno, è probabilmente corretto, ma è troppo arretrato per essere qui di qualche interesse. Di grande interesse è al contrario il suo limite superiore del 1160, basato sull’omissione di una messa per s. Bernardo, canonizzato in quell’anno. Ma una conclusione ex absentia è sempre debole: ed è particolarmente debole in questo caso perché diversi anni possono essere trascorsi prima che fosse elaborata una messa per un santo di recente venerazione: non doveva essere obbligatorio includere una messa per lui, e molti messali più tardi la omettono.
La scrittura, che è della riforma, appartiene ad una fase un poco più tarda. La s tonda è costante a fine riga, talvolta sovrascritta, ed è estremamente frequente a fine parola, fatto normale nel pieno quarto di secolo. Le iniziali, che sono pienamente late geometrical, concordano con questa datazione. Ciò non significa che il Messale debba essere stato prodotto dopo il 1160, ma sembra più probabile che sia stato confezionato diversi anni dopo.
Un altro Messale, nella Biblioteca lucchese cod. 595, contiene numerose iniziali late geometrical. Che sia lucchese è provato dal suo programma agiologico, e dal Calendario lucchese all’inizio, che seppur in un fascicolo separato è tuttavia, a giudicare dalla scrittura, dello stesso periodo e della stessa regione del corpo del Messale, e che può essere utilizzato come indizio sussidiario della destinazione originaria. Nel corpo del Messale, l’unico indizio di un’origine lucchese è la celebrazione di s. Ilario il 3 novembre. L’unica indicazione toscana risiede in s. Regolo il 1° settembre, non sufficiente a stabilire la destinazione toscana, anche se la peculiare importanza di questo santo a Lucca, come nel Messale di S. Ponziano appena considerato, ha probabilmente qualche significato. Qui la presenza di celebrazioni lucchesi è più estesa, fanno eccezione solo s. Biagio e s. Pantaleone. Il Calendario è ancora più fortemente lucchese, con tre santi di esclusiva celebrazione lucchese: s. Senesio della leggenda lucchese il 4 maggio, s. Teodoro vescovo di Lucca il 19 maggio, s. Edmondo il 20 novembre. In aggiunta, non solo c’è s. Ilario al 3 novembre, ma anche s. Frediano il 18 marzo e al 18 novembre. Tutti i santi toscani sono presenti: Torpete, Regolo, Cerbone e Miniato, e anche i ss. Marciano e Nicandro il 17 maggio e s. Cassio il 13 ottobre assumono un significato particolare. Il nucleo delle celebrazioni lucchesi più importanti è quindi intatto. Queste indicazioni nel Messale e nel Calendario, completate dall’assenza di indicazioni di altri centri, sia nell’agiologia che in altre caratteristiche, permettono di stabilire che il Messale è stato prodotto a Lucca da e per la regione lucchese.
La scrittura e le iniziali concordano nell’assegnare il codice abbastanza addentro al terzo quarto del XII secolo. Un probabile terminus ante quem del 1184 si trova nell’aggiunta posteriore nel Calendario dei ss. Vincenzo e Benigno il 9 giugno, poiché i corpi di questi due santi sono stati probabilmente traslati a Lucca in quell’anno, e i Calendari lucchesi prodotti successivamente includono i loro nomi.

Lista dei manoscritti late geometrical
Terzo quarto del XII secolo
La regione lucchese
Lo scriptorium di S. Pietro in Pozzeveri e codici ad esso legati: 
1. Lucca, Capitolare 6012. Antifonario
2. Lucca, Capitolare, Passionario F
3. Firenze, Laurenziana Plut. 17.42. Omeliario
4. Lucca, Capitolare 87. Omeliario
Lo scriptorium di S. Michele di Guamo
5. Lucca, Capitolare 593. Sacramentario (databile 1056-75)
Altri manoscritti
6. Lucca, Capitolare 602. Antifonario (inizio del quarto di secolo)
7. Firenze, Laurenziana Plut. 20.3. Passionario
8. Admont. Stiftsbibliothek 2. Passionario
9. Palermi, Comunale 2Qq.G2. Messale
10. Lucca, Capitolare 595. Messale (tardo terzo quarto)
Bibbie atlantiche aggiunte
Accanto all’importante Bibbia atlantica illustrata fiorentina datata 1140, pubblicata in questo saggio degli Studies, le seguenti Bibbie atlantiche aggiuntive, tutte miniate ma non illustrate, sono venute alla luce: Firenze, Laurenziana, Plut. 15.10, completa, umbro-romana, XI-XII secolo; Pistoia, Arch. Capitolare cod. 156, Antico Testamento frammentario, pistoiese, circa 1125; Firenze, Laurenziana, Plut. 15.1, completa, fiorentina o aretina, secondo quarto del XII secolo; Prato, Roncioniana Q.VIII.1, frammentaria, pistoiese, secondo quarto del XII secolo; Pistoia, Arch. Capitolare cod. 154, Nuovo Testamento frammentario, pistoiese, metà del XII secolo; cod. 160, Antico Testamento frammentario, terzo quarto del XII secolo; Firenze, Laurenziana, Conv. Soppr. 295, Nuovo Testamento, da Vallombrosa, fiorentino, terzo-quarto quarto del XII secolo.

domenica 26 giugno 2011

Lo stile 'late geometrical' (8e)

(Garrison, Studies II, pp. 223-224)

Altri manoscritti. Tra i primi manoscritti lucchesi a mostrare lo stile late geometrical è un Antifonario di Lucca, Biblioteca Capitolare, cod. 602. Contiene una singola figura a mezza altezza in una delle iniziali, di uno stile troppo sommario per una attribuzione. Sulla carta di guardia iniziale, in una mano del XIII secolo, c’è una nota di Hubadus, rector ecclesie sancti Petri de Ponte Marchionis, ora chiamato Ponte S. Pietro nelle vicinanze di Lucca. Che fosse in origine destinato all’uso lucchese è suggerito dall’agiologia: dei quattro santi indicativi della Toscana, celebra solo s. Regolo (1° settembre), e nessuno dei santi esclusivamente lucchesi. Tuttavia include celebrazioni per molti dei santi importanti a Lucca: s. Biagio, ss. Alessandro Evenzio e Teodulo, s. Pantaleone, s. Donato, s. Ponziano e compagni, s. Martino, s. Frediano e s. Prospero. Poiché non vi sono indicazioni di produzione in o per un altro centro, sia nell’agiologia che in altre caratteristiche, potremmo supporre che quasi certamente l’Antifonario sia stato prodotto per e a Lucca.
Le iniziali late geometrical sono numerose. Mostrano la particolarità di avere i riempimenti delle barre eseguite solo a minio, invece del solito minio e blu. Le teste animali sono una decorazione frequente. Ci sono numerose iniziali a barra piena, in cui le barre sono arancio e blu invece di giallo e rosso, che era diventata la norma nell’Italia centrale nel secondo quarto del secolo. Le barre devono essere considerate come un anacronismo al tempo in cui il codice, a giudicare dalla scrittura e dalle iniziali, fu prodotto. Ma la presenza di inziali a barra piena consiglia di porre il codice abbastanza presto nel terzo quarto di secolo.
Un altro manoscritto lucchese sicuramente del terzo quarto è un Passionario della Laurenziana, Plut. 20.3. Contiene una piccola testa in una iniziale al f. 69v (festa dei ss. Pietro e Paolo), che non aiuta nell’attribuzione. Ma il suo programma agiologico è fortemente lucchese: comprende le vite non solo di due santi venerati esclusivamente a Lucca, s. Senesio della leggenda lucchese il 4 maggio cui è conferita una particolare importanza essendo caratterizzato da nove letture, e s. Teodoro, vescovo di Lucca il 19 maggio, ma anche molti dei santi anche se non specialmente venerati lì: s. Pantaleone, ss. Donato e Ilariano, s. Romano, s. Ponziano e compagni. La passione di s. Donato è sottolineata dalla particolare elaborazione delle iniziali, indizio che il codice è stato prodotto per la importante chiesa di s. Donato della città.
La scrittura riformata esemplifica ciò che è stato detto riguardo la rottura con il passato: è solida e compatta, senza alcuna traccia della sottigliezza precedente, e può essere ritenuta tipica della scrittura della città nel terzo quarto del secolo.
Le iniziali geometriche sono tutte dello stile late, normale nel disegno. Presentano uno sfondo blu-verde chiaro dietro gli intrecci terminali, invece dei più comuni rosso, lacca e arancio, ma il fogliame degli interstizi è sfumato, tipicamente, in arancio e verde. Tra i riempimenti delle barre ci sono i motivi a crocetta che richiamano quelli di Pisa. Importante per datare il codice è il fatto che alcune di queste iniziali mostrano, nella tecnica a colore pieno dei riempimenti delle barre, reminiscenze di una tradizione anteriore: questo indica una datazione non troppo tarda nel quarto di secolo. Ad avvalorare questa indicazione vi sono numerose iniziali a barra piena che presentano un singolo filetto giallo nella barra decorata con disegni a penna rossa, che richiama le barre nei manoscritti lucchesi del secondo quarto del secolo, specialmente il Passionario P, che ho altrove datato tra 1130 e 1155. Allo stesso tempo, ci sono molte iniziali del nuovo stile calligrafico. La presenza delle iniziali a barra piena, come nel codice precedente, alla luce di questo e del carattere avanzato della scrittura, deve essere considerata abbastanza anacronistica. Ma in ogni caso, il codice deve essere datato non troppo addentro al quarto di secolo.
Un altro Passionario, cod. 2 della Stiftsbibliothek di Admont, mostra un’agiologia che pur meno distintiva del precedente non può essere tuttavia che lucchese. Certamente è toscana, poiché comprende tre santi della tetrade: s. Regolo, s. Cerbone e s. Miniato. Ma comprende anche una buona porzione delle importanti celebrazioni lucchesi che non sono esclusivamente lucchesi: ss. Alessandro Evenzio e Teodolo, ss. Donato e Ilariano, s. Martino, s. Frediano e s. Prospero. Celebra s. Ilario il 3 novembre, una pratica esclusivamente lucchese. Inoltre non vi sono indicazioni nell’agiologia di un altro centro. Le numerose iniziali sono tutte late geometrical, normali nel disegno e nel colore, i riempimenti delle barre sembrano abbastanza arcaici, con reminiscenze dello stile di transizione del secondo quarto del secolo. Il codice deve essere il più antico del gruppo, ma poiché non l’ho esaminato di persona, devo astenermi da un giudizio finale. Può essere datato all’inizio del terzo quarto di secolo.  

sabato 25 giugno 2011

Lo stile 'late geometrical' (8d)

(Garrison, Studies II, pp. 222-223)

Lo scriptorium di S. Michele di Guamo. Alcuni indizi si possono trovare per un altro scriptorium del territorio lucchese, il monastero di S. Michele di Guamo, appena a sud di Lucca. Questo monastero, una fondazione antica, raggiunse il culmine sotto i pulsanesi, che arrivarono là nel 1156. Molti dei monaci che si sono stabiliti lì sono conosciuti per essere italomeridionali, provenienti dalla casa madre dell’Ordine, la Badia di Pulsano, vicino a Manfredonia.
La Biblioteca Capitolare di Lucca possiede un Passionario atlantico, Passionario A, il più riccamente decorato, che era, secondo la nota di possesso, a S. Michele almeno dal XIV secolo. La sua agiologia prova che è stato prodotto per l’uso lucchese, anche se non vi è alcuna indicazione esplicita per S. Michele. La scrittura è del tipo lucchese. Le iniziali, tuttavia, sono completamente estranee al tipo lucchese, e anche allo sviluppo dell’Italia centrale. Sembrano mostrare caratteristiche gallicizzanti o francese dell’Italia meridionale, e non sono adatte ad essere esaminate qui. Anche le illustrazioni sono esotiche: sono molto transalpine nell’aspetto - il loro stile sembra derivare direttamente dall’Inghilterra o dalla Francia settentrionale - tanto che pur essendo sicuramente italiane non sembrano essere dell’Italia centrale. Anche se non è possibile affermare con certezza che il Passionario sia stato prodotto per S. Michele, queste iniziali, e di conseguenze le illustrazioni - secondo i caratteri della decorazione lucchese - possono essere spiegate come produzione di questo monastero, cioè di monaci dell’Italia meridionale residenti lì ma formatisi nell’ambiente normanno dell’Italia meridionale.
Un indizio più chiaro dell’attività di uno scriptorium a S. Michele è da dedurre da un Sacramentario della Biblioteca Capitolare di Lucca, cod. 593. Contiene innanzitutto una nota di possesso alla fine che prova che si trovava nella regione lucchese nel 1453. Ma la sua agiologia prova che era stato in origine prodotto per Lucca e più precisamente per S. Michele. Il codice comprende due fonti di informazioni agiologiche, il corpo del Sacramentario e una sorta di Indice delle celebrazioni all’inizio. Anche se i due non si accodano in tutti i dettagli, sono dello stesso copista e possono essere utilizzati come indizio per la destinazione.
Nessuno dei santi la cui venerazione è limitata a Lucca compare. Ma un debole riferimento a Lucca risiede nella celebrazione per s. Ilario il 3 novembre, che è ripetuta in entrambi i luoghi. La destinazione toscana è suggerita da s. Regolo il 1° settembre, ripetuto in entrambi, e dei ss. Torpete e Cebone nell’Indice. Con una destinazione toscana così fortemente probabile, la presenza di s. Cassio il 13 ottobre nell’Indice punta decisamente verso Lucca, poiché in Toscana il santo è venerato solo lì. In aggiunta, il motivo peculiare lucchese di importanti celebrazioni è qui completo: s. Biagio (Indice e Sacramentario), ss. Alessandro, Evenzio e Teoduo (Sacr.), s. Pantaleone (Ind.), ss. Donato e Ilariano (Ind. Sacr.), s. Romano (Sacr.), s. Ponziano e compagni (Ind. Sacr.), s. Martino (Ind. Sacr.), s. Frediano (Ind. Sacr.), s. Prospero (Sacr.). Che il codice sia stato prodotto per Lucca è così ben stabilito.
Prove che sia stato prodotto per S. Michele si trovano in un’altra celebrazione, s. Giovanni di Matera, chiamato s. Giovanni pulsanese, che fondò l’ordine pulsanese nel 1129 o 1130, che si trova sia nell’Indice che nel Sacramentario, come anche s. Giordano, che fu priore generale dell’Ordine dal 1139 al 1145.
La scrittura riformata è del tipo lucchese: è abbastanza avanzata, con s tonde molto frequenti a fine parola. Ci sono di fatto solo due iniziali geometriche in tutto il codice, entrambe dello stile late geometrical completamente sviluppato. La gran parte delle altre iniziali appartiene allo stile calligrafico, già menzionato diverse volte come indice ausiliario di data ma altrimenti irrilevante. Tuttavia è degno di nota il fatto che le iniziali calligrafiche nel Sacramentario incorporano caratteristiche late geometrical. Ciò si nota soprattutto nel Vere Dignum e nel Te igitur, che seguono le indicazioni delle due iniziali late geometrical.
Dal momento che il Sacramentario mostra forti indizi agiologici di produzione per l’uso pulsanese a Lucca, deve essere stato copiato per S. Michele in Guamo. Poiché la scrittura suggerisce che sia stato prodotto nella regione lucchese, e poiché non vi sono indizi di una sua produzione in un altro monastero, è fortemente probabile che sia stato confezionato non solo per, ma anche nel monastero di S. Michele. Poiché inoltre è stato prodotto per l’uso pulsanese a Lucca, la data di arrivo dei pulsanesi qui, 1156, è un certo terminus post quem per il codice, che può quindi essere datato tra il 1156 e la fine del quarto di secolo.
Considerati separatamente, bisogna dire che né il Passionario né il Sacramentario possono essere stati certamente prodotti a S. Michele. Ma presi insieme, le probabilità che l’uno o l’altro siano stati prodotti lì si rafforzano a vicenda, e diventano quasi certezze.
  

venerdì 24 giugno 2011

Lo stile 'late geometrical' (8c)

(Garrison, Studies II, pp. 220-222)

Che il frammento di un Passionario atlantico nella Biblioteca Capitolare di Lucca, Passionario F, sia stato prodotto per l’uso lucchese è provato dalla sua agiologia. Le illustrazioni sono della stessa mano di quelle dell’Antifonario appena considerato, ed essendo anch’esse relazionabili agli affreschi di S. Ponziano, sono certamente lucchesi. Infatti la parentela tra i due manoscritti è così stretta non solo nelle illustrazioni ma anche nella scrittura e nelle iniziali, che si può ipotizzare che siano stati prodotti nello stesso scriptorium.
Dei tre santi venerati quasi esclusivamente a Lucca il Passionario ha solo s. Edmondo il 20 novembre. Ma l’intero mese di maggio, in cui gli altri due, s. Senesio della leggenda lucchese e s. Teodoro vescovo di Lucca, dovrebbero trovarsi, è perduto. Celebra s. Ilario il 3 novembre nella pura maniera lucchese. Dei santi che suggerirebbero indipendentemente la sua destinazione per l’uso toscano, presenta solo s. Cerbone il 10 ottobre, e s. Miniato il 25. Ma sia il mese di aprile che il mese di settembre, in cui s. Torpete e s. Regolo potrebbero occorrere, sono parimenti perduti. Con la sua paternità toscana non troppo certa, i santi venerati tra i centri toscani solo a Lucca diventano come in altri casi decisivi: sono s. Cassio il 13 ottobre, i ss. Giasone, Mauro e Ilaria il 3 dicembre, e s. Agnello il 14 dicembre. E ancora una volta maggio, in cui s. Marciano e s. Nicandro potrebbero trovarsi, è perduto. Infine, dei santi di maggiore venerazione a Lucca, seppur venerati anche altrove, il Passionario ha s. Martino l’11 novembre, s. Frediano il 18 novembre, e s. Prospero il  5 novembre, tutti gli altri sono invece probabilmente andati perduti con le sezioni del Passionario cadute, e certamente non sono tutti omessi.
Vi sono inoltre indizi aggiuntivi di Lucca nel fatto che alla vita di s. Martino è data particolare importanza nell’illustrazione, con diverse figure invece della consueta figura unica, e nell’ornamentazione con le più grandi e più decorate iniziali del codice, con barre in oro al posto del colore giallo usato per gli altri santi. Questa è forse una prova, anche se non una certezza, che il codice sia stato copiato per la cattedrale di Lucca dedicata a s. Martino.
La scrittura del Passionario è circa allo stesso stadio di sviluppo di quella dell’Antifonario. Ma la s tonda è ovunque un po’ meno frequente e, complementariamente, reminiscenze dei motivi di transizione delle iniziali sono più marcate e meno lineari nell’esecuzione. Questi elementi inducono a datare a qualche anno prima il codice. I filetti delle barre tendono sempre all’arancio, con l’eccezione di quelli in alcuni quaternioni che iniziano da f. 40, e un arancio profondo riempie spesso le aree dietro gli intrecci delle terminazioni. Verde, blu e marrone, quest’ultimo soprattutto comune nelle iniziali lucchesi del tipo, anche se non limitate a questi, sono utilizzati negli sfondi pieni, mentre la suddivisione in una iniziale C del f. 82 è blu su blu. Reminiscenze di grandi lettere all’inizio delle Bibbie atlantiche sono evidenti nella I all’inizio della vita di s. Martino, e particolarmente quelle del maestro della Bibbia di Avila. Questo conferma la datazione al terzo quarto del secolo.
Il Passionario dovrebbe essere così posto nello stesso periodo generale dell’Antifonario, ma deve essere specificato che dei due è probabile che sia leggermente anteriore.
Estremamente vicino al precedente Passionario e all’Antifonario, specialmente nello stile delle illustrazioni, è l’Omeliario atlantico della Biblioteca Laurenziana Plut. 17.42. L’Omeliario appartiene al piccolo gruppo che presenta la nota di possesso del XII secolo qui letta come ecclesie gradensis. La sua attribuzione a Lucca è tuttavia certa, poiché le illustrazioni sono di fatto di una mano più esperta di quella degli altri due codici e sono simili nei tratti essenziali, che potrebbero essere facilmente considerati come l’opera di un unico illustratore ad un momento più tardo della sua carriera. Che l’Omeliario sia un po’ più tardo è confermato dalla scrittura, che appartiene distintamente ad una nuova fase della riforma. Presenta in generale una maggiore solidità, e un ispessimento considerevole dei tratti; presenta inoltre un uso ancora più frequente della s tonda a fine di parola, anche se all’interno della riga non ha completamente soppiantato la s diritta. Le iniziali sono inoltre tutte del pieno tipo late geometrical, senza alcun retaggio anteriore, e attestano la relativa posteriorità del codice. L’Omeliario può meglio essere datato nel pieno quarto di secolo, un po’ più tardi rispetto ai due manoscritti precedenti.
La parte illustrata dell’Omeliario atlantico della Biblioteca Capitolare di Lucca, cod. 87, appartiene allo stesso stile provinciale dei tre codici precedenti, ma molto probabilmente è di uno scriptorium diverso. Può essere attribuito a Lucca solo sulla base delle illustrazioni, ma c’è un dettaglio nell’agiologia che lo conferma: accanto alle omelie che celebrano le maggiori feste canoniche e i santi, ne contiene solo altre due, per s. Martino e s. Frediano, che non sarebbero inclusi in altri codici in quest’ordine gerarchico. Si tratta dei due santi più venerati a Lucca, e sebbene non siano un indizio certo, poiché occorrono allo stesso modo in un altro Omeliario di S. Pietro a Grado, Plut. 18.24, che abbiamo considerato sulla base di altri indizi più probabilmente fiorentino, preso in relazione con le illustrazioni lucchesi, potrebbero avvalorare l’attribuzione a Lucca.
La scrittura è avanzata come nel precedente Omeliario, la s tonda è quasi costante a fine riga e molto frequente a fine parola. Le iniziali, come le illustrazioni, pur assomigliando a quelle dei tre codici appena considerati, presentano differenze nei dettagli e nei colori. Da notare è l’uso di un verde molto più scuro di quello che si trova negli altri, e di un lacca scuro, altrove assente. L’Omeliario è tuttavia all’incirca contemporaneo ai codici precedenti.

giovedì 23 giugno 2011

Lo stile 'late geometrical' (8b)

(Garrison, Studies II, pp. 218-220)

Lo scriptorium di S. Pietro in Pozzeveri e un codice correlato. Si è già osservato che le illustrazioni nella seconda parte dei libri della Bibbia nella Biblioteca Capitolare di Lucca, cod. 2, forniscono un motivo per ritenere che fossero prodotte poco prima della metà del XII secolo nel monastero camaldolese di S. Pietro di Pozzeveri, non lontano dalla zona est di Lucca. Il pezzo chiave per postulare uno scriptorium attivo in questo monastero è tuttavia un Antifonario della stessa Biblioteca, cod. 601, poiché vi sono alcuni indizi per i quali potrebbe essere stato prodotto lì. Infatti è dalle relazioni che le illustrazioni del cod. 2 portano rispetto al cod. 601, che possono essere attribuite a questo scriptorium. Un terzo codice importante, un Passionario della stessa Biblioteca, Passionario F, e un quarto, un Omeliario della Laurenziana, cod. 17.42, sono per gli stessi elementi assegnabili allo stesso scriptorium. Infine, un Omeliario della Biblioteca Capitolare di Lucca, cod. 87, è più inesattamente da unire al gruppo. A legare tutti questi manoscritti a Lucca fondamentalmente sono forti somiglianze tra le loro illustrazioni e un’opera monumentale in situ, l’affresco a mezza altezza di S. Martino nella chiesa sconsacrata di S. Ponziano nella città.
L’Antifonario può essere attribuito a Lucca sulla base delle somiglianze che le sue illustrazioni portano con gli affreschi di S. Martino: ma è stato chiamato lucchese, in effetti, per motivi affatto differenti: per il carattere della sua liturgia e dei suoi neumi, e per una complicata catena di ragionamenti, che sebbene passi attraverso una falsa attribuzione al convento lucchese di S. Maria di Pontetetto, a sud della città, tuttavia assegna correttamente il codice alla regione. Una interpretazione più logica dei fatti rivela tuttavia la probabilità che il monastero di produzione non fosse in realtà S. Maria ma S. Pietro.
Nella prima parte di questo secolo, dom Pierre de Puniet ha riconosciuto somiglianze neumatiche tra l’Antifonario e un altro della stessa Biblioteca, cod. 603, sempre del XII secolo. L’Antifonario 603 è noto per la sua provenienza da S. Maria nel 1408, quando l’edificio fu soppresso a favore del Capitolo di Lucca. Ritenendo che la nota di possesso di S. Maria significhi che il codice è stato prodotto e decorato lì, ha suggerito, sulla base delle somiglianze neumatiche, che anche l’Antifonario 601 fosse stato prodotto e illustrato lì. Ma riconoscendo da alcuni dettagli liturgici che questo Antifonario è camaldolese e scoprendo che nello stesso anno, 1408, un importante monastero camaldolese nel territorio lucchese, S. Pietro di Pozzeveri, è stato soppresso per il Capitolo, e la sua biblioteca portata nella cattedrale, ha suggerito che pur prodotto a S. Maria fosse destinato e consegnato a S. Pietro, e che sia arrivato alla Biblioteca Capitolare da lì. In quest’ultima ipotesi è stato incoraggiato dall’omissione dell’ufficio di un santo patrono, che si sarebbe spiegata se il patrono del monastero di produzione fosse stato S. Pietro, e dalla citazione in un Inventario della Biblioteca di S. Pietro datata 1331, conservata nell’Archivio Capitolare di Lucca, di duo antiphonaria antiqua nocturna coperta corio albo veteri (sic): si ritiene che i pezzi di cuoio che ancora stanno nella coperta del codice possano essere stati chiamati ‘bianchi’.
Due legami deboli hanno viziato la catena di ragionamenti di dom de Puniet. Innanzitutto, la nota dell’Antifonario 603 non può essere ritenuta una prova che il codice sia stato prodotto a S. Maria; è solo una prova che il codice è appartenuto al convento. Il fatto che S. Maria fosse un convento femminile sembrerebbe andare contro una produzione del libro qui, poiché nessun indizio certo di scrittura e illustrazione di libri indica un monastero italiano femminile. Secondariamente, anche se l’Antifonario 603 fosse stato prodotto a S. Maria, la somiglianza dei neumi con quelli dell’Antifonario 601 non sono una prova sufficiente per dire che i due codici sono stati prodotti nello stesso scriptorium; provano solo che i due codici sono stati prodotti nella stessa regione, quella lucchese. La grande differenza nello stile delle miniature costituisce infatti un segno, anche se non una prova certa, che sono stati prodotti in due diversi centri. Inoltre, si può argomentare su basi indipendenti e più solide che l’Antifonario 601 è stato prodotto a S. Pietro.
Bisogna notare inoltre che nell’idea di dom de Puniet l’Antifonario 601 è arrivato alla Biblioteca Capitolare da S. Pietro: anche se quasi corretta, non riceve nessun supporto dall’Inventario di S. Pietro del 1331. Il rifacimento della legatura del codice nella seconda metà del XV secolo è registrata da una nota nell’ultimo foglio, e non è certo che sia sopravvissuto il vecchio cuoio. Se il presente cuoio è originale, la descrizione dell’Inventario è in definitiva irrilevante, poiché è colorato e per assurdo potrebbe non essere mai stato riferito come bianco. Al contrario, se è del XV secolo, la descrizione è parimenti irrilevante, perché non si può sapere come era l’originale.
Tuttavia, alcuni riferimenti nel ragionamento di dom de Puniet sono corretti e possono essere usati in una nuova catena, che necessita evidentemente di essere formata.
Le illustrazioni dell’Antifonario 601 sono, come è stato detto, certamente lucchesi. I neumi sono, come ha detto dom de Puniet, certamente lucchesi. Questi elementi sono prove di una presunta produzione nel territorio lucchese. L’Antifonario inoltre, come ha detto dom de Puniet, è stato prodotto certamente per l’uso camaldolese. In assenza di indicazioni contrarie - ed è stato dimostrato come l’assegnazione a S. Maria sia inapplicabile - questo fatto è una prova indiziaria che sia stato prodotto in un monastero camaldolese. Nel territorio lucchese ve n’erano solo due: S. Pietro di Pozzeveri e SS. Salvatore e Bartolomeo di Cantignano. Il primo era, come è stato detto, soppresso nel 1408, il secondo fu soppresso nel 1419. Ma mentre non sappiamo nulla di quest’ultima biblioteca, è certo che una notevole biblioteca appartenuta al primo pervenne al Capitolo di Lucca all’epoca della soppressione, poiché numerosi codici segnati come appartenenti al monastero sono ancora nella Biblioteca Capitolare, e perché tra di essi molti possono essere positivamente identificati nell’Inventario del 1331. Il fatto che lo stesso Inventario sia arrivato alla Biblioteca Capitolare può essere considerato un’ulteriore prova. Così, l’idea di dom de Puniet che l’Antifonario provenisse al Capitolo da S. Pietro può essere suffragata da prove migliori di quelle che lui stesso ha usato. Infine, il dettaglio nel suo programma usato da dom de Puniet per supportare l’ipotesi che l’Antifonario sia stato prodotto per S. Pietro, può in questo nuovo contesto essere utilizzato come prova del fatto che è stato prodotto a S. Pietro, che è l’omissione nell’ufficio del santo patrono.
Poiché l’Antifonario è certamente prodotto nella regione lucchese, poiché è stato certamente prodotto per e molto probabilmente in un monastero camaldolese, e poiché è stato quasi certamente prodotto per S. Pietro di Pozzeveri, la conclusione è che sia stato inevitabilmente prodotto a S. Pietro.
La scrittura dell’Antifonario è completamente della riforma, senza alcuna traccia delle peculiarità lucchesi precedenti. Leggermente più pesante sia di quella del cod. 2 o del Fesul. 79, presenta un aumento marcato nell’incidenza delle s tonde a fine riga - anche se altrove è ancora superata dalla s diritta - fatti entrambi da considerare normali nel terzo quarto del secolo.
Le iniziali sono quasi completamente late geometrical, con tracce qua e là di motivi di transizione, eseguite in una tecnica lineare, late geometrical. Il codice contiene poche iniziali esotiche che mostrano il disegno base a barra piena, come è conosciuto nel secondo quarto del secolo. Ma contiene anche numerose iniziali del nuovo stile calligrafico che stava gradualmente sostituendo, nel terzo quarto, le iniziali a barra piena. La loro presenza sconsiglia una datazione troppo antica.
Sembra quindi prudente datare l’Antifonario alla metà del quarto, in un momento equamente distante tra 1150 e 1175.

mercoledì 22 giugno 2011

Lo stile 'late geometrical' (8a)

7. La regione lucchese.
(Garrison, Studies II, pp. 217-218)

Lungo tutta la prima metà del XII secolo, le iniziali di Lucca, sebbene mostrino relazioni con le iniziali geometriche del resto dell’Italia centrale, sono tuttavia ben distinte nello stile, molte delle quali, in cui predominano forme naturalistiche di fiori e foglie aggraziate e fluenti, sono ispirate principalmente da modelli francesi. I miniatori lucchesi raggiunsero un alto livello di abilità tanto che devono aver sentito poco stimolo ad imitare le iniziali, inaccurate in confronto, popolari nell’ambiente. Ecco perché Lucca è trattata abbastanza raramente in questi Studi. Solo due manoscritti certamente lucchesi prodotti agli inizi del secolo sono ornati con iniziali che mostrano punti di contatto con le iniziali geometriche dell’Italia centrale abbastanza forti da giustificare una certa considerazione, un codice con una selezione di libri biblici, cod. 2 della Biblioteca Capitolare di Lucca - e solo la seconda parte - e una Esposizione sui Salmi, Fesul. 79 della Laurenziana di Firenze. Sono stati datati rispettivamente appena prima e all’incirca alla metà del secolo.
Ma nel terzo quarto del secolo, la situazione è cambiata materialmente. Gli eleganti stili lucchesi della prima metà scompaiono rapidamente e definitivamente. Sono sostituiti dallo stile late geometrical diffuso nell’Italia centrale. Non meno di 10 manoscritti con decorazione late geometrical sono riconoscibili come lucchesi. Diversi altri potrebbero essere lucchesi, ma le loro iniziali aderiscono così strettamente alle formule centro italiane che in assenza di indizi di localizzazione precisa devono al momento essere classificati come centro italiani in generale. Gran parte dei manoscritti lucchesi late geometrical non mostra una grande genialità, nessuno stimolo all’originalità, ma imita in maniera più o meno sottomessa modelli che devono essere arrivati da altri luoghi, probabilmente in massima parte da Firenze e Pisa.
Allo stesso tempo, un cambiamento completo ha riguardato la scrittura lucchese. Nel primo quarto del secolo era, come le iniziali lucchesi, molto distintiva, con un ductus particolarmente sottile qui descritto come di confine verso le forme a cuneo. Potrebbe, come le iniziali lucchesi, aver subito l’influenza francese; la sua particolare sottigliezza potrebbe essere dovuta all’influenza della scrittura angolosa francese. Nel secondo quarto, la grande riforma delle scritture italiane ha contaminato le scritture lucchesi in qualche modo, ma solo molto gradualmente fu capace di trasformarle. Durante il quarto di secolo, un forte accento cuneiforme persiste; poi, nel terzo quarto, tutte le tracce del tipo precedente scompaiono, e la riforma emerge in tutto il suo vigore. La nuova scrittura lucchese differisce, tuttavia, sia dal tipo di transizione di Roma e Pisa sia dai tipi middle geometrical di Roma e Firenze: è più squadrata e più solida delle precedenti, e non mostra alcuna delle soppressioni particolari dei filetti, è più semplice anche nel ductus di quest’ultima, con grande varietà nello spessore dei tratti.
Infine, le scuole cosmopolite di illustrazione che fiorirono nel territorio lucchese lungo tutta la prima metà del secolo, trovando ispirazione dalle regioni come Francia, Germania, Bisanzio, morirono anch’esse. Tutti i manoscritti illustrati late geometrical della seconda metà del secolo contengono illustrazioni che sono completamente provinciali nell’idea, grossolane nell’esecuzione, che sono in breve il povero tentativo di monaci locali, che si giovano del contatto del grande mondo per ravvivare i loro codici con figure che avevano visto in manoscritti precedenti nelle loro biblioteche.

martedì 21 giugno 2011

Lo stile 'late geometrical' (7d)

(Garrison, Studies II, pp. 154-158)

Le iniziali del terzo manoscritto del gruppo, un Evangelistario nella stessa Biblioteca di Volterra, cod. XLV. 6. 8, sono anche più vicine alle iniziali fiorentine del terzo quarto del secolo. Ma ci sono tuttavia alcune differenze, che ricevono un significato estemporaneo dal fatto che la scrittura e le illustrazioni pongono il manoscritto lontano da Firenze e lo localizzano più probabilmente a Volterra. Al f. 2 c’è una nota di possesso del XIV secolo: liber ecclesie vulturiane. Anche se non vi è alcuna indicazione di luogo nel programma delle celebrazioni per poter dire che il manoscritto è stato vergato per l’uso volterrano, si trovava certamente nella zona di Volterra in una datazione abbastanza alta.
La scrittura appartiene al tipo generale qui connesso a Volterra, diverso da quelli trovati a Firenze o a Pisa, a Roma o a Lucca. In questo codice è un po’ divergente dalle scritture degli altri membri del gruppo, e sembra più di transizione che middle geometrical nel tipo base, sebbene mostri gli stessi accenni di angolarità, con un aspetto pieno, inaccurato, sconosciuto alle altre scritture. La s tonda è quasi sempre costante a fine riga, e supera la s diritta a fine parola. Questa scrittura sembrerebbe quasi certamente normale abbastanza tardi nel terzo quarto di secolo.
Le iniziali sono tutte late geometrical di ambito fortemente fiorentino, ma con alcuni dettagli che potrebbero essere pisani e altri che sembrano essere locali. Fiorentini possono essere considerati il fogliame bianco pieno e dentellato che forma le terminazioni inferiori in alcune lettere, come i capitelli a piuma di alcune I. Più probabilmente pisani sono i riempimenti delle barre a piccoli cerchi, che sono ricorrenti. La rosetta a otto petali può essere sia fiorentina che pisana. Più probabilmente locale, a legare il manoscritto con il Passionario di San Gimignano, è la speciale versione del riempimento a nodo allungato.
Le illustrazioni non sono certamente né fiorentine né pisane. Particolarmente divergenti sono i tipi, che mostrano una rotondità e una pienezza distintivi: si ritroveranno in una forma più decisiva nel prossimo codice illustrato qui considerato.
L’Evangelistario può, alla luce di questi elementi, essere attribuito a Volterra con una certa sicurezza, e può essere datato ben addentro al terzo quarto del secolo.
Più definitivamente toscano a giudicare dalla liturgia, e dalla scrittura che serve a legare l’Evangelistario più fermamente a Volterra - ma d’altra parte di nessun interesse qui - è un Breviario della stessa Biblioteca di Volterra, cod. XLVI. 3. 9. Il codice è in realtà composto di due parti, un frammento di Breviario (ff. 1-12) e un Breviario intero (ff. 13-323). Entrambe le parti sono tuttavia vergate dalle stesse mani ed entrambe possono essere utilizzate come indizi di origine. Una litania al f. 11-11v comprende tre santi della tetrade toscana, s. Regolo, s. Miniato e s. Cerbone. Comprende inoltre i ss. Giusto e Clemente, che anche se non in maniera obbligata, indicano Volterra, dove godevano di un culto speciale e dove, come è stato detto, un importante monastero era a loro dedicato. Sono seguiti dal loro compagno, s. Ottaviano, la cui venerazione era più ristretta a Volterra, città di cui era patrono e dove fu sepolto. Il Breviario non comprende, abbastanza stranamente, alcun officio per questi santi. Solo l’ufficio per s. Romolo può avere un qualche significato: questo santo, vescovo di Fiesole e solitamente indicativo di Firenze - qui probabilmente segno di influenza fiorentina - è stato ritenuto tuttavia un apostolo di Volterra e vescovo di quella città. La scrittura del codice è identica al codice precedente, e certamente proviene dallo stesso scriptorium. Le iniziali non sono di particolare interesse qui, essendo per la maggior parte esempi difficili da classificare.
Legato a tutti i manoscritti precedenti nella scrittura e nelle iniziali, e all’Evangelistario nelle illustrazioni, sebbene sia un prodotto un po’ più tardo, è un Commentario al Vangelo di Giovanni di s. Agostino, di grandi dimensioni, ora alla Biblioteca Guarnacciana di Volterra, cod. LXI. 8. 5. Al f. 1, in una mano del secolo XIII, è scritto: iste liber est ecclesie sancte Marie maioris de Vulterris. Ulteriori indicazioni della presenza del codice a Volterra nel XIII secolo si trova in un’aggiunta dell’epoca al f. 211 di un sermone per la festa di s. Regolo (1° settembre), indicazione toscana, e al f. 212v di un altro per s. Ottaviano, indicazione di Volterra (2 settembre).
La scrittura rappresenta ciò che con ogni probabilità è uno sviluppo tardo del tipo dei primi due manoscritti del gruppo, e in particolare dell’ultimo, mostrando ancora un tipo di base di transizione in gran parte modificato dal middle geometrical, mostrando ancora una certa rotondità e allo stesso tempo una certa sottigliezza o angolarità, ma con un ductus considerevolmente più pesante e un incremento marcato nell’uso delle abbreviazioni. La s tonda è costante a fine parola, anche all’interno della riga. Questa scrittura è normale abbastanza tardi nel terzo quarto, o anche nell’ultimo quarto del secolo.
Le iniziali sono late geometrical completamente sviluppate di disegno avanzato. Come altre del gruppo, richiamano quelle di Firenze ma mostrano dettagli che potrebbero essere di Pisa. Dettagli eminentemente volterrani non sembrano essere presenti. Richiamano iniziali fiorentine nella struttura generale e nell’aspetto complessivo, e nel riempimento a nodo radiante negli scomparti ricurvi delle barre, che ricorrono lungo il codice. La maschera terminale di I con il fogliame in bocca, potrebbe essere sia fiorentina che pisana. A richiamare più decisamente Pisa sono i riempimenti a crocetta della I e la particolare versione della rosetta a quattro petali. Questa combinazione di caratteristiche indica, come è stato detto, un terzo centro, che può essere solo Volterra.
Il codice contiene undici figure a mezza altezza, una lavanda dei piedi quasi cancellata, e una figura ad altezza piena in ginocchio e in preghiera, tutte confinate agli interstizi delle iniziali. Queste illustrazioni sono diverse nello stile complessivo da quelle del precedente manoscritto - più libere, dopo - ma tuttavia presentano, come è stato detto, una parentela di tipo nei volti rotondi e pieni.
Poiché la scrittura e le illustrazioni sono certamente di Volterra, le iniziali possono essere ritenute con tutta probabilità anch’essse volterrane, specialmente perché non sono puramente fiorentine né puramente pisane. Il codice può essere datato alla fine del terzo quarto o all’inizio dell’ultimo quarto del secolo.

Lista dei manoscritti late geometrical.
Terzo quarto del secolo.
La regione di Volterra.
1. San Gimignano, Comunale, Passionario. Metà del secolo, o poco prima.
2. Volterra, Guarnacciana, LXI. 8. 6, s. Gregorio, Moralia.
3. Volterra, Guarnacciana, XLV. 6. 8, Evangelistario. Tardo terzo quarto.
4. Volterra, Guarnacciana, XLVI. 3. 9, Breviario.
5. Volterra, Guarnacciana, LXII. 8. 5, Agostino sul Vangelo di Giovanni. Tardo terzo quarto o inizio dell’ultimo quarto.        

lunedì 20 giugno 2011

Lo stile 'late geometrical' (7c)

(Garrison, Studies II, pp. 153-154)

Ad momento successivo appartengono i Moralia di s. Gregorio in due volumi e non illustrati, ma finementi miniati, ora alla Biblioteca Guarnacciana di Volterra, cod. LXI. 8. 6. Sull’ultima pagina del volume II, in una mano della fine del XIII o dell’inizio del XIV secolo, è scritto
Iste liber est venerabilis viri dni Nerli prioris sancti Cerboni diocesis Vulterri.
I volumi quindi si trovavano a Volterra non molto tempo dopo la produzione.
La scrittura è tipica del tipo qui proposto come volterrano: è decisamente differente da ogni versione fiorentina del middle geometrical - e anche più lontana dalla scrittura pisana - essendo più leggera, rotonda, più sottile e un po’ angolosa. In questo caso, inoltre, mantiene i dettagli primitivi ad un grado notevole: la s diritta supera ancora numericamente la s tonda, e la r scende in maniera persistente al di sotto della linea di base. La scrittura serve come segno principale in base al quale riconoscere la fattura non fiorentina e non pisana del codice.
La decorazione di entrambi i volumi è sontuosa. Le iniziali hanno barre d’oro con numerose terminazioni a testa di uccello. I riempimenti della barre sono meticolosamente eseguiti. Il fogliame degli interstizi, ravvivati da maschere, teste umane e figure, e con uccelli, è di grande raffinatezza.
In generale, queste iniziali sono molto vicine a Firenze. Mostrano lo stesso uso dei raffinati intrecci early geometrical come riempimento delle barre in alcune lettere, tra tutti i motivi late geometrical, simile ad un codice fiorentino come la Bibbia Mugellano, del terzo quarto del secolo (Firenze, Laurenziana, Mugel. 2). Solo qui i motivi late geometrical di accompagnamento sono molto più avanzati, uguali in effetti a quelli dell’Omeliario Harley, fiorentino, del pieno quarto di secolo (Londra, British Library, Harl. 7183). I punti di contatto più specifici con le iniziali fiorentine sono numerosi. L’intreccio a metà barra della I al f. 2v del volume I potrebbe essere stato ripreso da quello alla sommità della I della Genesi della Bibbia di S. Maria del Fiore, Edili 125/126 della Biblioteca Laurenziana: in ogni caso appartiene alla stessa famiglia. Gran parte del fogliame, come nella terminazione inferiore di questa I, e come negli interstizi della Q al f. 8v del volume II, torna al tipo altamente lavorato del secondo quarto del secolo, trovato nel Passionario lucchese P+, datato tra 1130 e 1155, e in diversi codici fiorentini, come il s. Agostino Mugellano dell’inizio del secondo quarto (Laurenziana, Mugel. 5), e la seconda Bibbia di S. Maria del Fiore (Laurenziana, Edili 127) del 1125 circa. Si tratta certo di un anacronismo all’epoca in cui fu prodotto il Moralia. La terminazione inferiore della P del f. 111 del volume I, con il suo particolare fogliame che si sviluppa dalla bocca di una testa umana è quasi una copia esatta di una dell’Omeliario Harley e molto simile alle terminazioni di un altro Omeliario fiorentino, Plut. 18.24 della Biblioteca Laurenziana, e di un altro, Plut. 17.40 della stessa Biblioteca. Queste terminazioni sono, tuttavia, molto vicine a quelle di codici contemporanei pisani, come l’Omeliario della Laurenziana Plut. 14.1, dell’inizio del terzo quarto del secolo, come anche della seconda Bibbia Casanatense, volume II, che potrebbe essere fiorentina o pisana (Roma, Biblioteca Casanatense, cod. 723). Una tale terminazione curva ‘a piuma’ come quella della I del f. 25 del vol. II deriva ovviamente da un’altra simile nella Bibbia Mugellano.
Tuttavia, che il manoscritto non è fiorentino è suggerito da diversi elementi. Innanzitutto, il contatto con le iniziali fiorentine è discontinuo e intermittente, e indica l’uso di modelli di diversi periodi. Secondariamente, i motivi pisani sono diffusi in queste iniziali. A parte le terminazioni inferiori con teste umane già citate, che potrebbero essere sia fiorentine che pisane, la particolare versione della rosetta a otto petali nella Q, come anche i motivi a crocetta nella P del f. 93v, possono essere considerati pisani. Entrambi ricorrono in tutti e due i volumi. Questa circostanza potrebbe essere spiegata nelle iniziali fiorentine come appartenenti all’influenza pisana. Ma la presenza di elementi che non sono fiorentini né pisani indica qualche altro centro. Si tratta dello sviluppo esotico degli intrecci delle terminazioni superiori, fino ad arrivare all’amorfismo, come nella P e nella I, che eccepisce da ciò che è stato trovato a Firenze o a Pisa, e indica un’esecuzione provinciale. Il diamante a mezza altezza della I è inoltre molto più sbrigativo rispetto alle sue controparti in questi centri, e il disegno complessivo, come quello della I dei ff. 1, 53 e 120 del volume I, sebbene apparentemente legato alle I fiorentine, sembra piuttosto di derivazione.
In maniera decisiva la scrittura, quindi, ma anche la combinazione di elementi fiorentini e pisani nelle iniziali, certi dettagli grossolani e derivativi, così come l’uso di modelli diffusi, tutto questo indica una produzione lontana dalla regione fiorentina e pisana. La sola altra regione che viene ad essere considerata è quella di Volterra, dove il manoscritto, come si è visto, è stato conservato tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV. Questo codice dei Moralia può anche essere stato prodotto, a giudicare dai singoli elementi, lungo il terzo quarto del secolo.
         

Lo stile 'late geometrical' (7b)

(Garrison, Studies II, pp. 152-153)

Il primo dei quattro manoscritti è un Passionario atlantico non illustrato della Biblioteca Comunale di San Gimignano, cod. lat. 1. Si tratta in realtà di un codice di transizione e non late geometrical, e dovrebbe essere stato trattato tra i manoscritti toscani di transizione. Tuttavia, essendo un elemento importante a stabilire il gruppo volterrano, di cui tutti gli altri membri conosciuti sono late geometrical, è stato discusso a questo punto.
Il Passionario mostra una particolarità unica in una sorta di lunga etichetta posta orizzontalmente in basso a destra dal f. 176, lasciata specialmente nel ritaglio della pergamena e integrata al foglio, che porta una nota originale:
Gerardus qui cognominatur Mannarius pro salute anime sue atque uxoris sue fecit adiutorium libro isto solidos iiii per cam. Omnis hic legentes ut misericordiam imploretis divina gratia fidei subveniat sue.
Al f. 216, un’altra nota originale dice:
Beliarda Uberti uxor pro salute anime sue atque viri sui fecit adiutorium libro isto solidos vi per cam. Omnis hic legentes ut misericordiam imploretur divinam gratiam fidei subveniat sue.
L’identificazione dei personaggi citati potrebbe certamente datare il codice. Sfortunatamente è stato impossibile trovare citazioni di essi in altri lavori pubblicati.
Finché non si farà uno studio sull’agiologia di Volterra e di San Gimignano, sarà difficile attribuire il giusto significato alle celebrazioni di questo singolo Passionario. Tuttavia, si può dire che della tetrade toscana è presente solo s. Miniato. Per una localizzazione più precisa, gli indizi sembrano mescolati, fatto di per sé significativo di una località minore. S. Zenobio, di solito indicativo di Firenze, è presente (per l’influenza fiorentina nelle iniziali si veda in seguito); s. Prospero, in Toscana normalmente indicativo di Lucca, è anch’esso presente (si vedano le influenze lucchesi sulle iniziali). Ma probabilmente alcune indicazioni positive della fattura per San Gimignano è da ricavarsi dal fatto che, abbastanza inconsuetamente, sono celebrati due san Gimignano, quello di Modena il 31 gennaio e quello di Roma, figlio adottivo di s. Lucia, il 15 settembre (più frequentemente attestato il 16 settembre).
Il Passionario è stato copiato da diverse mani. Alcune hanno impiegato una carolina quasi pura: devono essersi formate nel primo quarto del XII secolo. Nelle altre c’è un accenno di riforma che ha pervaso il centro Italia dal 1125. Ma in altre, la riforma si fa sentire in maniera più forte: queste non si considerano normali fino al pieno secondo quarto. Molte mani, e specialmente dal quaternione che inizia al f. 49, mostrano la peculiare angolosità che si incontrerà negli altri membri del gruppo. Il tipo che ne risulta richiama in qualche modo il tipo sottile, cuneiforme di Lucca del secondo quarto del secolo, ma rimane da stabilire se questo è dovuto all’influenza lucchese e all’influenza delle scritture transalpine.
A fissare le generali affinità e il periodo del codice sono numerose iniziali geometriche di transizione con i riempimenti a nodo allungato, che è qui il tipo principale. Prese al di fuori del loro contesto, sarebbe impossibile distinguere molte di queste dalla loro controparte fiorentina in manoscritti come la Bibbia sessoriana o il Lezionario sessoriano, entrambi del tardo secondo quarto del secolo, cioè tra 1130 e 1150 (Roma, Biblioteca Nazionale, Sess. 3, 6) e più specificamente il S. Agostino di S. Croce, dell’inizio del terzo quarto (Biblioteca Laurenziana, S. Croce, Plut. 16 d. 5). La struttura complessiva, eccetto che per l’assenza degli sfondi aggettanti, è molto simile, come anche il fogliame degli interstizi. Dettagli come la formazione degli intrecci terminali, l’uso di teste animali, la maniera in cui sono eseguite, la divisione degli spazi tra i nodi nei riempimenti a nodo allungato in blocchi di diversi colori, e il nodo radiante negli scomparti curvi, sono identici.
Tuttavia, il Passionario preso nell’insieme rivela chiaramente la sua fattura non fiorentina. Alcuni dei riempimenti a nodo allungato sono di uno speciale disegno che non si trova a Firenze, i nodi sono complicati a formare ciò che in realtà sono sezioni di intrecci, e gli spazi tra uno e l’altro sono di un unico colore, alla maniera umbro-romana. Una deformazione come quella della B del f. 97v e della P del f. 100 non è concepibile a Firenze; con ogni probabilità rappresenta una sorta di virtuosismo provinciale. Più importanti sono gli altri tipi di iniziali che si ritrovano qui. Molte somigliano alle iniziali ottonizzanti e gallicizzanti di Lucca del secondo quarto del secolo, sia a barra piena che a barra vuota, come nelle C dei ff. 20v e 22, la P del f. 27v, la I del f. 32v, la S del f. 34, e molte altre. Ancora, non è certo se la presenza di queste iniziali tramanda l’influenza lucchese o l’uso di modelli transalpini. In ogni caso, una simile combinazione di stili delle iniziali non si trova nei manoscritti certamente fiorentini o pisani. Indica probabilmente uno scriptorium più picolo, più sottomesso all’uso indiscriminato di modelli esterni.
Infine, appaiono qua e là alcune iniziali calligrafiche - qui eseguite solo in inchiostro rosso - che sebbene già trovate occasionalmente nella Bibbia di S. Cecilia del tardo primo quarto del secolo, non sono divenute comuni fino al terzo quarto. In manoscritti toscani, probabilmente indicano una datazione vicina alla metà del secolo, o pochi anni dopo.  

domenica 19 giugno 2011

Lo stile 'late geometrical' (7a)

6. La regione di Volterra.
(Garrison, Studies II, pp. 151-152)

Alcune indicazioni della fioritura di uno scriptorium nel territorio di Volterra risiede, molto probabilmente, nell’impiego di un copista volterrano Alberto, per scrivere e, come abbiamo visto, probabilmente per miniare e illustrare un’importante Bibbia probabilmente prodotta nel monastero pisano dei SS. Vito e Gorgonio, la cosiddetta Bibbia di Calci. Ma sarebbe ragionevole in ogni caso supporre che Volterra, sede di un vescovado indipendente e nel XII secolo del tutto indipendente, con i suoi territori sottoposti, incluso S. Gimignano, che seppur nolente vi era sottomesso, abbia prodotto manoscritti e che questi debbano essere, nella natura degli elementi, differenti da quelli di altri centri. C’erano altri monasteri fiorenti nella zona, dei quali i più importanti, citati molte volte in documenti dei secoli XI e XII, erano quello dei SS. Giusto e Clemente, appena fuori della città, fondato nel 1030 dai benedettini, donato ai cassinesi nel 1084 ma tornato ai camaldolesi nel 1113, e di S. Pietro di Monteverdi, un po’ più lontano, fondato anche prima, forse nel 983, che passò ai vallombrosani nel 1050. Questi sono quelli che con ogni probabilità hanno mantenuto gli scriptoria.
Allo stesso tempo, è ragionevole supporre che i prodotti volterrani fossero sotto la forte influenza dei centri di maggior potere delle vicinanze, Firenze, Pisa, Lucca e forse anche Siena. Per tutto il XII secolo, la città rimase prevalentemente ghibellina, e aveva contatti particolarmente stretti con Pisa. Con essa firmò un trattato nel 1123, e nel 1125 il vescovo di Volterra, Ruggiero, divenne vescovo di Pisa, mantenendo, fino alla sua morte nel 1131 o 1132, anche la carica a Volterra. E mentre tra il 1159 e il 1161 era alleata con Lucca e Firenze, nell’ultimo anno ristabilì l’alleanza con l’impero; dal 1169 era di nuovo alleata con la ghibellina Pisa e con Siena.   
A priori, il compito di distinguere i manoscritti volterrani da quelli di altri centri menzionati non è dei più facili. Fortunatamente ci sono prove in quattro manoscritti che sono ancora a Volterra e in uno di San Gimignano che potrebbero eventualmente formare la base per delineare i tratti distintivi di una scuola. Questo permette di assegnare alla scuola altri codici ora perduti sotto attribuzioni fiorentine o pisane. Vi sono prove di almeno un tipo distintivo di scrittura - e forse di due tipi - di uno stile di iniziali che mostra un riaffioramento non voluto di elementi pisani e fiorentini, e di uno stile figurativo differente da qualunque altro centro.
La scrittura in tre di questi manoscritti, da quella con reminiscenze caroline nei primi, a quella avanzata della riforma nei più tardi, mostra una leggera tendenza verso l’angolarità, che produce un tipo distinguibile sia dal tipo di transizione, sia dal middle geometrical nella versione umbro-romana, come in quella fiorentina orientale. Denota forse qualche influenza lucchese, e può eventualmente essere definita decisamente come volterrana. Ciò che si può osservare è ciò che è più importante per legare i tre manoscritti insieme. Ma le descrizioni finali e l’utilizzo del tipo devono attendere ulteriori studi. La scrittura negli altri due codici è notevole per una bellezza avventata e disinvolta, in cui la tendenza ad allungare alcune barre curve a terminazione libera, come nella x, per fare in modo che quasi fioriscano, contribuisce non poco. Anche questa è diversa da tutte le altre scritture conosciute, sebbene, come si può arguire, si è sviluppata al di fuori del tipo presente negli altri tre codici.
La caratterizzazione dello stile volterrano è un po’ più difficoltosa. Non siamo certi se senza l’aiuto della presente localizzazione, e della scrittura e dell’illustrazione, sarebbe possibile distinguerlo dallo stile pisano e fiorentino. I manoscritti che lo mostrano più probabilmente sarebbero attribuiti alla zona pisana o fiorentina: infatti gli elementi principali di distinzione volterrana delle iniziali allo stato attuale delle conoscenze è la sopravvivenza di elementi fiorentini e pisani piuttosto che tratti definibili come eminentemente volterrani. Quando si considera la difficoltà di distinguere tra iniziali pisane e fiorentine, si può ottenere qualche idea riguardo al problema: è possibile che uno o l’altro dei manoscritti ora attribuiti a Firenze o a Pisa debba essere eventualmente separato come volterrano.
Le illustrazioni formano una base più solida per la distinzione. Certamente nei due manoscritti illustrati del gruppo da considerare, sono diverse da quelle di Firenze e di Pisa. Le illustrazioni in uno di essi sembrano tuttavia avere poco in comune con quelle dell’altro. Così, rimane da vedere se uno stile volterrano può essere positivamente caratterizzato. Sembra a tutt’oggi certo, in ogni caso, che debba essere costituito di almeno due stili divergenti.