lunedì 13 giugno 2011

Lo stile 'late geometrical' (5c)

(Garrison, Studies II, pp. 99-102)

Il più importante manoscritto pisano del periodo, in generale un codice chiave della storia dei manoscritti del XII secolo, è la Bibbia atlantica in quattro volumi illustrata, un tempo posseduta dal monastero di S. Maria e S. Gorgonio, sull'isola di Gorgona, dove ora si trova la Certosa di Calci. Il suo particolare significato storico non risiede solo nell'alta qualità, ma anche nel fatto che presenta una annotazione contemporanea nell'ultima pagina del volume 4, che fornisce la datazione oltre che notizie notevoli sul processo di copiatura. Sembra valga la pena citare per intero le parti più rilevanti di questo documento:
In eterni dei nomine amen.
Ad futuri memoriam habendam et indissolubiter retinendum. Anno domini millesimo centesimo sexagesimo VIIII. Indictione secunda. Sextus idus octobris. Bibliothece opus inchoamus. Ego presbiter Gerardus recordationem facio centum soldorum quos Mattilda Vecki uxor quondam Rainulfi sancti Viti ecclesie pro anime remedio sui viri, et eius dedit tali quidem conditione quod domnus abbas cum eiusdem ecclesie fratribus ad honorem dei, et beate Marie necnon prenominatorum martirum Viti, Modesti, Crescentie ac sancti confessoris Melciadis sanctique apostoli Bartholomei faciant iam dictos centum soldos in cartis bibliothece dari. Ego enim prefatus presbiter illos centum soldos in ducentis XL cartis dedi.
(segue una lunga lista di contributori con le loro contribuzioni)
De iamdicta collectione dedi ego presbiter Gerardus scriptori libras V. soldos III minus. Item ex eadem dedi in cartis soldos LIII et dimidium. Presbiter Gregorius pro anima Sigismundi consobrini sui huic operi dedit soldos V. Flandina pro anima viri sui Gerardi soldos II. Didimus scriptori Alberto Vulturrensis soldos X et denarios II. Ego presbiter Gerardus dedi per manum donni Benedicti camerarii Adalberto scriptori de licteris maioribus de auro et de colore soldos VII et dimidium, et in alia parte dedit donnus Benedictus soldos IIII et dimidium. Et Ego presbiter G. dedi alia vice pro presbitero Gregorio in cartis soldos IIII denarios XXXII. Alia vice dedi Andree nepotis Gregorii pretio lictere per manus donni Damiani priori et aliorum fratrum soldos VIIII. Item dedimus presbitero Gregorio quando reduxit quaternos soldos XLII et denarios IIII. que omnia complent soldos CXV et denarios II. Item dedimus magistro Viviano libras XV et amplius. Calojanni soldi XII.
L'interpretazione di questo documento non è così semplice come è stato supposto. La copiatura è iniziata, come si può vedere, il 10 ottobre 1169. Ma si tratta certamente di computo secondo lo stile pisano, il che significa il 1168 nel calendario comune. La copiatura deve essere continuata anche in gran parte dell'anno successivo, così che la Bibbia può essere datata con sicurezza nel 1168-69.
La Bibbia contiene diverse note di possesso: quella alla fine del volume I che può rappresentare anche le altre, dice: Liber monasterii Gorgone pisane diocesis. Queste note sembrano essere del tardo XII o dell'inizio del XIII secolo, e stabiliscono che la Bibbia si trovava allora nel monastero dell'isola. Tuttavia, l'espressione del documento, anche se non fissa oltre ogni dubbio il luogo di produzione, non si riferisce a questo monastero ma a quello femminile dei SS. Vito, Gorgonio e Milziade a Pisa.
L'abate di Gorgona fece costruire nel 1061 una chiesa dedicata ai ss. Gorgonio e Milziade. Dal 1070 è stato edificato un monastero vicino, il quale, evidentemente per amministrare l'intero complesso di edifici, dal 1073 ha cominciato ad essere chiamato monastero dei SS. Gorgonio, Vito e Milziade, l'ultimo nome gradualmente poi omesso. L'abate di Gorgona da allora si è chiamato abate di S. Vito e S. Maria di Gorgona, ma i due monasteri erano collocati sotto aministrazioni separate, che comprendeva priorati separati. Dopo un periodo di prosperità, entrambi declinarono, e dal 1373 raggiunsero uno stato così basso che Gregorio XI si adoperò per chiudere S. Vito e spostare gli edifici sotto la giurisdizione dell'arcivescovo di Pisa, e chiamò i certosini ad occupare Gorgona. Inoltre ordinò di prendere tutte le ricchezze a S. Vito, inclusi i libri, e di portarli a Gorgona. Nel 1379 i certosini fecero un inventario, dove figura anche la nostra Bibbia. Ma sfortunatamente omisero di specificare quali libri erano stati a Pisa e quali a Gorgona. Quando nel 1425 andarono a Calci, portarono con sé i propri libri.
Ora il documento parla solo di S. Vito, e tra i contribuenti figurano gli aiunta (anime) ecclesie (di S. Vito). Anche se ciò non esclude in assoluto la possibilità che la Bibbia sia stata prodotta a Gorgona, alla luce delle strette relazioni tra i due monasteri, i parrocchiani di S. Vito potrebbero aver contribuito al codice a Gorgona, ma ciò non rende più plausibile che il codice sia stato prodotto nel monastero. Se sono corrette le datazioni sulle note di possesso, esse mostrano tuttavia che i codici si trovavano sull'isola prima del trasferimento dei libri nel 1379. Si deve supporre che siano stati portati lì per qualche recondita ragione.
Che il copista fosse anche il miniatore è possibile, perché l'accostamento di ad e di alberto e la ripetizione e l'emendamento dell'occupazione, scriptor de licteris maioribus la seconda volta, contro scriptor solo la prima - potrebbe suggerire un individuo differente di nome Alberto. Se Alberto fosse anche l'illustratore sembra meno certo, perché chi era dunque il magister Vivianus che ha ricevuto una somma così grande - una somma più grande di chiunque altro?
Difficile decidere se le teste umane che ravvivano diverse iniziali, come la L del f. 91 del volume I, certamente opera del miniatore, sono della stessa mano delle illustrazioni. Se fosse possibile convincersi che lo sono, l'illustratore e il miniatore possono essere considerati la stessa persona. Ma poiché appartengono allo stesso genere stilistico delle illustrazioni, dipendono per la creazione delle forme anche meno dalle linee, e sembrano essere più liricamente concepite, ed eseguite in maniera più elaborata. Vi è dunque una possibilità concreta che miniatore e illustratore fossero due persone distinte. Inoltre, quando andiamo a considerare due manoscritti illustrati che sono molto probabilmente volterrani, troviamo poco o nulla con cui le figure della Bibbia di Calci possano essere confrontate da vicino. Ad ogni buon conto, sembra probabile che siano pisane e che se anche Alberto di Volterra fosse l'illustratore deve essersi formato a Pisa. Ma è più soddisfacente credere piuttosto in un Alberto, un pisano, che sia stato sia miniatore che illustratore, o in un Viviano, un pisano, che sia stato solo l'illustratore.
La scrittura, che sembra la stessa nei quattro volumi, è caratteristica di Pisa, essendo del tipo sviluppatosi al di fuori dell'umbro-romano di transizione; è diversa da ogni scrittura dei manoscritti che paiono essere di Volterra - altra ragione per ritenere il toponimo di Alberto come mera indicazione di origine. Si presenta abbastanza avanzata, con una certa pesantezza, particolarmente nei tratti discendenti, che prelude alla goticizzazione, anche se non si può dire ancora goticizzante. La s tonda è quasi costante ovunque a fine parola, anche se la s diritta occorre ancora. Questa scrittura è particolarmente importante, naturalmente, per la storia della minuscoila dell'Italia centrale, per la cui datazione, in assenza di ogni evidenza contraria, bisogna stabilire qual era la norma per l'epoca a Pisa, così da dare un'idea di ciò che era normale anche altrove.
Le iniziali sono late geometrical completamente sviluppate. In contrasto con quelle dell'Omeliario già considerato, non presentano tracce di stili antecedenti. I riempimenti delle barre sono qui per la gran parte di disegno semplificato e di tecnica completamente lineare che caratterizza ovunque il late geometrical. Anche i pochi motivi che ancora tradiscono una derivazione da stili precedenti, come la rosetta geometrizzata a otto petali, sono ridotte ad una linearità estrema. Tutto ciò appartiene ad un periodo abbastanza avanzato, come ci si può aspettare. Alcune delle foglie degli interstizi sono di notevole bellezza, e il disegno di teste come quelle della L al f. 91 del volume I è magistrale.
Molti dei riempimenti delle iniziali somigliano in via generale a quelli visti a Firenze. Nessuno dei motivi specifici che sono stati ritenuti come peculiari di Firenze è presente. D'altra parte, indicazioni pisane sono difficili da individuare. Al limite, i motivi a croce menzionati all'inizio della sezione, e la rosetta a otto petali nella particolare variante qui presente - forse anche la serie di cerchi eseguita come qui - possono essere ritenuti pisani. Molti motivi di attribuzione risiedono come si vedrà, nello stile delle illustrazioni, nella loro piena ma sottile plasticità. Come è stato visto, è possibile che sia le iniziali sia le illustrazioni siano di mano volterrana, ma sembra possibile che abbiano tipizzato stili che sono nati nella regione pisana. Entrambi, in ultima analisi, devono apparentemente essere accettati come dato primario alla nostra concezione di uno stile di decorazione del manoscritto pisano nel tardo terzo quarto del secolo.

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